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❌🙁Ciano autografo LA DISPERATA – Galeazzo foto PNF Fascista

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Fotografia con dedica ed autografo, originale, di GALEAZZO CIANO  in uniforme da pilota della Regia Aeronautica, con giubbino Marus e patch al petto della squadriglia LA DISPERATA – 1938

In ottime condizioni avente i suoi segni del tempo. la fotografia viene fornita di certificato di originalità.

Dimensioni circa mm.30 x 24

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Descrizione

Fotografia con dedica ed autografo, originale, di GALEAZZO CIANO  in uniforme da pilota della Regia Aeronautica, con giubbino Marus e patch al petto della squadriglia LA DISPERATA – 1938

Ciano è ritratto nella sua uniforme di volo, sorridente, quando era al comando della squadriglia aerea LA DISPERATA, e la dedica indirizzata ad un camerata fascista, con la data Marzo XVI e l’autografo in calce, sono assolutamente originali e scritti di pugno dal genero del Duce, ad inchiostro stilografico.

Questa fotografia con autografo di Galeazzo Ciano, comandante de LA DISPERATA, viene fornita di certificato di autenticità.

In ottime condizioni avente i suoi segni del tempo.

 

MATERIALE ……. :  Carta

DIMENSIONI ……:  mm.30 x 24 circa

MARCHIO ………..: 

 

 

 

NOTIZIE

Galeazzo Ciano e LA DISPERATA

La 15ª Squadriglia fu una squadriglia del Regio Esercito e poi della Regia aeronautica del Regno d’Italia, nota anche come La Disperata

Guerra d’Etiopia

La 15ª Squadriglia della Regia Aeronautica partecipa alle operazioni belliche sin dal 3 ottobre 1935 in dipendenza del IV Gruppo Bombardamento sull’aeroporto di Asmara (poi Aeroporto Internazionale di Asmara) nell’ambito della Guerra d’Etiopia. La “15ª squadriglia bombardamento terrestre” era equipaggiata con 10 trimotori Caproni Ca.101 sotto il comando di Galeazzo Ciano ed in cui servì tra gli altri anche Alessandro Pavolini. Il 14 ottobre Il Capitano Galeazzo Ciano, comandante della 15ª squadriglia da bombardamento, la «Disperata», spintosi coi suoi «Caproni» a oltre 70 km. a Sud di Macallè, ha bombardato da bassa quota un accampamento abissino di circa 300 tende, sulle pendici Nord dell’Amba Alagi. Inefficace è stata la violenta reazione contraerea nemica. Quindi portatosi su Bet Mariam, dove era stato segnalato un deposito di munizioni, lo ha bombardato e distrutto. (Bollettino di guerra)

Il 18 novembre Venti apparecchi da bombardamento «Caproni 101» del 4º e 27º gruppo con 6 tonn. di esplosivi, hanno bombardato nulla valle del Maimesciac una massa di circa 20 mila armati, mitragliandola poi a fondo valle, da quote comprese fra i 50 e i 100 metri. L’operazione si è svolta in cinque ondate ed è durata due ore. La reazione è stata violentissima; l’apparecchio del capitano Ciano, comandante della squadriglia «La Disperata», è stato colpito da proiettili di fucile e da una granata di cannone Oerlikon; hanno partecipato all’azione gli apparecchi di Vittorio e Bruno Mussolini della squadriglia «Testa di Leon»; l’apparecchio del sottotenente Manchi è stato colpito nel serbatoio della benzina; il motorista ha tamponato la falla colla mano per oltre due ore; sull’apparecchio dei tenenti Lanza e Orsini è stato ferito da proiettile esplosivo il sergente Dalmazio Birago; egli ha tenuto un contegno eroico inneggiando alla sua squadriglia, la «Disperata», e incoraggiando i piloti, preoccupati per il suo gravissimo stato. Più tardi egli è deceduto in seguito alle ferite. (Bollettino di guerra)

Al 15 gennaio 1936 era ancora ad Asmara ed il Capitano Ciano aveva anche una Sezione di Caproni Ca.133. Nel marzo 1936 una Sezione era nel Gruppo tattico Ca. 101 dell’Aeroporto di Axum.

Tra i piloti: Dalmazio Birago, Luigi Lanza, Felice Baldeschi, Alberto Ostini, Vito Mussolini, Roberto Farinacci, Ettore Muti, Pietro Bonacossa, e Maner Lualdi.

 

Medaglia d'argento al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria3 Medaglie d’argento al valor militare
«Capitano pilota di complemento, volontario di guerra, comandante di squadriglia da bombardamento “Disperata” sul fronte dell’Eritrea, guidava il proprio reparto, con perizia ed ardimento in ogni volo di esplorazione lontana e di offesa. Nell’attacco aereo dell’Amba Birguntan, affidato alla sua sola squadriglia, spazzava a bassa quota l’importante centro carovaniero del Bassopiano occidentale dal quale il nemico si ritirava lasciando sul terreno 180 uomini e vari capi. Rientrava dall’azione con un montante forato da colpo nemico. Nel bombardamento degli accampamenti di Bet Mairà presso Amba Alagi eseguendo da bassa quota insieme ad altro apparecchio della squadriglia, riusciva a far saltare un deposito di munizioni ed a infliggere al nemico la perdita, segnalata da parte avversaria, di 68 uomini. Alla testa della propria squadriglia partecipava all’attacco aereo del Maj Mescic, presso Amba Alagi, contro un’orda di ventimila abissini. Investito da più raffiche di mitragliatrici e di fucileria che colpivano in 36 punti l’apparecchio, aveva infine il serbatoio di olio del motore di sinistra squarciato da un proietto esplosivo di cannoncino contraereo. Ciò nonostante permaneva sulla zona di attacco fino a quando la perdita dell’olio lo costringeva a prendere terra sul campo di fortuna di Macallè. Profondamente conscio dei propri doveri di comandante, era sempre e dovunque fulgido esempio per i propri gregari. Cielo dell’Amba Birguntan, di Amba Alagi, e di Macallè, 18 novembre 1935
«Ufficiale pilota capo equipaggio di apparecchio da Bombardamento, dirigeva un volo di ricognizione su Addis Abeba, allo scopo di osservare le condizioni di quel campo di atterraggio. Dopo aver tracciato quattro rette a volo rasente sul munito campo, nonostante la viva reazione antiaerea, portava il velivolo a saggiare con le ruote il terreno. Colpito in più parti vitali da fuoco di fucileria e di mitragliatrici pesanti, l’apparecchio si tratteneva per oltre mezz’ora sulla capitale nemica, finché in una puntata eseguita sul centro della città, aveva fra l’altro un motore avariato e due serbatoi di benzina squarciati da proietti dirompenti. Durante il volo di ritorno reso difficilissimo dall’emanazioni venefiche dei gas di miscela che colpivano alcuni membri dell’equipaggio, dalla deficienza del carburante e dalle avverse condizioni atmosferiche, superava i molti ostacoli che rendevano singolarmente precario il rientro alla base, dando prova di alta capacità professionale e di sereno sprezzo del pericolo. Cielo di Addis Abeba, 30 aprile 1936
«Ufficiale superiore di elevate virtù militari, al comando di un gruppo da bombardamento partocipava a numerose azioni di guerra sui vari fronti,riconfermando magnifiche qualità di combattente e praclari doti di comandante sempre pronto a prodigarsi nelle missioni dove più gravi fossero il rischio e la difficoltà. Alla testa dei suoi equipaggi, portava per primo l’ala italiana su una lontana e munitissima base della Grecia, che riusciva a colpire efficacemente, superando con grande audacia violentissima reazione aerea e contraerea. Fulgido esempio di tenace, sereno ardimento e sprezzo del pericolo. Cielo della Corsica, di Salonicco e del fronte greco-albanese, giugno 1940-XVIII-aprile 1941-XIX

Gian Galeazzo Ciano, meglio conosciuto come Galeazzo, conte di Cortellazzo e Buccari (Livorno, 18 marzo 1903 – Verona, 11 gennaio 1944), è stato un diplomatico e politico italiano. Figlio dell’ammiraglio Costanzo Ciano e di Carolina Pini, nel 1930 sposò Edda Mussolini.

Durante la prima guerra mondiale si trasferì con la famiglia a Venezia, dove frequentò il liceo ginnasio «Marco Polo»; in seguito si trasferì a Genova, dove conseguì la maturità classica. Durante gli studi universitari fece pratica di giornalismo presso Il Nuovo PaeseLa Tribuna e, nel 1924, L’Impero, organo fascista intransigente, occupandosi però non di politica ma di critica teatrale: scrisse anche un dramma (Felicità d’Amleto) e un atto unico (Fondo d’oro) che una volta rappresentati non ottennero alcun successo; in un’occasione, durante la messa in scena, egli e la sua compagnia furono oggetto di lanci d’ortaggi da parte del pubblico. Frequentava in quel tempo ambienti artistici, giornalistici e mondani.

GALEAZZO CIANO

Ascesa

Dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza, fu ammesso in diplomazia e inviato come addetto di ambasciata a Rio de Janeiro. Il 24 aprile 1930 sposò Edda Mussolini, con la quale subito dopo partì per Shanghai come console. Rientrato in Italia, il 1º agosto 1933 venne nominato capo dell’Ufficio stampa da Mussolini (per il controllo e la guida dei mezzi di comunicazioni di massa) con il titolo di sottosegretario alla stampa e alla cultura. Nel 1935 divenne ministro della Cultura popolare, il MINCULPOP, competente anche per la Stampa e la Propaganda, quindi partì volontario per la guerra d’Etiopia, ove si distinse come pilota di bombardieri, al comando della 15ª Squadriglia da bombardamento Caproni e fu decorato.

Nel 1936 fu nominato Ministro degli affari esteri, subentrando, nella carica, allo stesso Mussolini (sottosegretario, dal 1932 al 1936, era stato Fulvio Suvich, che in ossequio alla nuova linea di politica estera del Duce era stato “allontanato” in qualità di ambasciatore a Washington, così come Grandi, quattro anni prima, era stato «spedito» ambasciatore a Londra). In tale veste Galeazzo Ciano maneggiava molto denaro, in questo caso dei cittadini. Soldi serviti alla causa del fascismo. Su probabili pressioni del Duce, fu coinvolto nel duplice omicidio dei fratelli Carlo e Nello Rosselli, colpevoli d’essere i fondatori del movimento antifascista Giustizia e Libertà.

Galeazzo Ciano e Benito Mussolini passano in rassegna un reparto militare al rientro in Italia di Ciano dall’Africa Orientale Italiana – Brindisi, 17 maggio 1936

Ciano si era guadagnato una certa confidenza da parte del Principe di Piemonte Umberto di Savoia, figlio di Vittorio Emanuele III, anche in virtù dell’amicizia decennale con Giorgio Rea, professore emerito presso il Politecnico di Torino piuttosto noto a Corte, con il quale condivideva una certa mentalità e un notevole charme, anche se Ciano era certamente meno discreto del principe. Divenne il corrispondente preferito tra Umberto (e Maria José) e il movimento fascista. Questa amicizia era considerata produttiva sia dal re sia dal dittatore, poiché i due sarebbero stati i rispettivi eredi della Corona e del governo e i buoni rapporti fra i futuri eredi rassicuravano i congiunti circa la tenuta futura degli equilibri raggiunti. Il sovrano lo aveva insignito del Collare della Santissima Annunziata, la più alta onorificenza regia.

Probabilmente con l’approvazione di parte del Principe Umberto, Ciano tenne l’Italia distante dalla Germania hitleriana il più a lungo possibile, con l’aiuto dell’ambasciatore a Berlino, Bernardo Attolico. Ciano percepì chiaramente il pericolo che Hitler rappresentava anche per l’Italia, quando i Nazisti uccisero il Primo Ministro austriaco Dollfuss, che aveva avuto degli stretti legami con la famiglia Mussolini (la moglie e i figli di Dollfuss si trovavano in vacanza in Italia a casa del Duce quando il marito fu assassinato), e poté scorgere in questa azione di forza un freddo avviso delle intenzioni del Führer.

A poco a poco, in seguito a una serie di incontri con Joachim von Ribbentrop e Hitler che portarono il 22 maggio 1939 alla sottoscrizione del Patto d’Acciaio, Ciano (praticamente costretto dal suocero a sottoscriverlo, malgrado i suoi tentativi di temporeggiare, per le informazioni che il Ministro degli Esteri britannico Anthony Eden sollecitato da Dino Grandi, gli aveva fatto pervenire) consolidò i suoi dubbi sulla nazione alleata, ed ebbe diverse divergenze col suocero. Alla fine, come scrisse nei suoi diari, non era sicuro se augurare agli italiani «una vittoria o una sconfitta tedesca».

Il 23 marzo 1939 Ciano divenne Consigliere nazionale della Camera dei Fasci e delle Corporazioni.

Il regno d’Albania

Ciano con re Zog d’Albania

 

Nel frattempo, il 7 aprile del 1939, un venerdì santo, l’Italia aveva invaso e poco dopo conquistato il Regno d’Albania. Tirana era da tempo nella sfera di influenza italiana e l’impresa, militarmente non impegnativa e resa non ardua dall’irrisoria resistenza incontrata consistette, in pratica, solo nello sbarco di un piccolo contingente di truppe italiane nei quattro principali porti albanesi, e provocò una decina di morti in scontri con bande di resistenza civile.

Il progetto, già proposto in precedenza, fu prontamente realizzato allorché la Germania, nel marzo 1939, inviò le sue truppe in Cecoslovacchia e vi stabilì il protettorato di Boemia e Moravia; all’interno dell’Asse, queste operazioni avevano – nell’opinione pubblica – consolidato l’immagine dei tedeschi e allo stesso tempo indebolito quella degli italiani, integrando una sorta di gerarchia di fatto.

Di un’espansione verso l’Albania o verso il Regno di Jugoslavia, a Roma si era già discusso a fondo da molto tempo; per quanto riguardava l’Albania, il discorso era stato anzi affrontato proprio con Belgrado, prima con Milan Stojadinović e poi con Cvektoviĉ ma quest’ultimo aveva declinato l’offerta di una spartizione, anche per l’elevata presenza di albanesi sul territorio jugoslavo, e ne era sortito un trattato (1937) contenente un patto di non aggressione che in realtà era un nulla osta a un’eventuale azione italiana su Tirana (oltre che un tentativo del Reggente Paolo di Jugoslavia di tener lontane Italia e Germania).

La Germania, del resto, aveva più volte indicato di non nutrire interessi su queste aree.

Il paese, a neanche 150 chilometri dalle coste pugliesi, era di fatto fin dalla prima guerra mondiale profondamente influenzato dall’Italia, che aveva accettato nel settembre del 1928 l’auto-proclamazione di re Zog I (Ahmed Bey Zogu), in seguito accusato di essere un tiranno incline all’arricchimento personale e al nepotismo. Mentre Zog I, all’arrivo degli italiani, riparava in Grecia, la conquista fu perfezionata con l’offerta della corona d’Albania a Vittorio Emanuele III il 16 aprile 1939, con una piccola cerimonia svoltasi al Quirinale.

Il governo dell’Albania fu affidato al luogotenente del re, Francesco Jacomoni di San Savino, che lo mantenne fino all’8 settembre del 1943; si trattò di un governo di facciata, con ministri albanesi affiancati da consiglieri italiani con poteri di controfirma. Circa il ruolo di Ciano nella vicenda albanese, quantunque non formalmente onorato di alcuna carica specifica diretta, soprattutto nella storiografia anglosassone è comunemente ritenuto il vero «reggente» della colonia, e anche nella storiografia italiana lo si menziona spesso come «viceré», poiché di fatto come tale ebbe a condursi. L’intitolazione alla moglie di un porto (Porto Edda), ma più ancora la scoperta promozione della soppressione del Ministero degli Esteri e di quello della Difesa di Tirana, ruoli devoluti al governo di Roma con un «trattato» del 3 giugno, indicano la centralità del suo ruolo; anche la costituzione del Partito Fascista Albanese, sollecitata da Achille Starace già dal mese di aprile (quando trionfalmente sbarcò in Albania salutato da 19 salve di cannone), fu sottoposta all’autorizzazione di Ciano (che la concesse solo nel mese di giugno e che ne permise la formalizzazione solo nel marzo dell’anno successivo ponendovi a capo l’amico personale Tefik Mborja).

Il 13 aprile, Ciano si rivolse subito agli albanesi come gestore diretto della loro Nazione, garantendo loro che le loro aspirazioni nazionali sarebbero state sostenute dall’Italia anche in ordine all’espansione dei confini, questione che in pratica si riferiva al recupero delle zone asseritamente «albanesi» nei territori greco e jugoslavo; essendo i proclami diretti al Ministero degli Esteri albanese (che di lì a poco sarebbe stato soppresso) fonte di inquietudini per i paesi vicinanti, a questi Ciano si affrettò a segnalare (una settimana dopo, a Venezia) il disinteresse italiano per l’argomento e la strumentalità delle dichiarazioni. Ciò nonostante, fece istituire un Ufficio Speciale per l’Irredentismo che fra i suoi compiti non palesi aveva anche quello di preparare una struttura militare clandestina per il momento, ritenuto non lontano, in cui fosse esplosa una crisi in Jugoslavia.

La guerra

Ciano nel 1938

 

Al 10 giugno 1940 il Maggiore Ciano era comandante del CV Gruppo S.M.79 del 46º Stormo dell’Aeroporto di Pisa-San Giusto. All’inizio della seconda guerra mondiale, quando le sue posizioni anti-tedesche erano oramai note (Hitler avrebbe avvisato Mussolini tempo dopo: «Ci sono dei traditori nella sua famiglia»), molti osservatori ritengono che sia stata di Ciano la maggiore influenza nella formulazione della «non belligeranza», locuzione a effetto cui corrispondeva una posizione dell’Italia assolutamente fumosa, per un verso non concorde nell’aggredire, per un altro non discorde con l’aggressore.

A questa morbida quanto inconcludente situazione si era giunti con una sua intuizione, tradottasi nell’invio di una famosa lettera a Hitler (il quale premeva perché l’Italia partecipasse al conflitto), passata alla storia come lista del molibdeno, in cui si chiedeva alla Germania una mole incredibile di mezzi e armamenti (che si calcolò che avrebbero richiesto, per il solo trasporto, ben 17.000 treni) e dinanzi a tale richiesta i nazisti allentarono le pressioni, almeno per un po’.

L’Italia, però, non era in guerra, e questo – considerati i patti – parve comunque un ottimo risultato. Il Patto d’Acciaio prevedeva, infatti, l’obbligo di prestare immediato ausilio militare (indipendentemente dalle eventuali cause di conflitto):

«Art. 3. – Se, malgrado i desideri e le speranze delle Parti contraenti, dovesse accadere che una di esse venisse a essere impegnata in complicazioni belliche con un’altra o con altre Potenze, l’altra Parte contraente si porrà immediatamente come alleata al suo fianco e la sosterrà con tutte le sue forze militari, per terra, per mare e nell’aria.»

Quando l’Italia entrò in guerra fu Ciano, per via del ruolo che ricopriva, a consegnare le dichiarazioni agli ambasciatori di Francia e Regno Unito. Pochi mesi dopo fu l’ideatore della guerra alla Grecia. Forse – è stato ipotizzato – ingannato dalla troppo facile conquista albanese. Considerando che ad Atene, retto dal generale Ioannis Metaxas, vigeva un regime militare non ostile all’Italia.

L’invasione (Campagna di Grecia) si trasformò in breve tempo in un disastro militare che vide le truppe italiane ricacciate in Albania, ciò che non era stato messo in conto: infatti i greci ebbero una reazione di orgoglio e, pur se in condizioni di inferiorità tecnologica, reagirono all’attacco con imprevista partecipazione, respingendo gli italiani e causando anche le dimissioni (prontamente accolte) di Pietro Badoglio, su cui ebbero un loro peso anche le scomode ma sincere osservazioni scandalizzate di Roberto Farinacci.

Dinanzi alle difficoltà che, invece, furono incontrate, registrando le prime avvisaglie di negatività delle vicende belliche, Ciano non tardò a tornare su posizioni più dubitative, esprimendo le sue perplessità sia «in famiglia» sia ad altri gerarchi. Anche a causa delle cariche ricoperte, con particolare riguardo ai rapporti con il Regno Unito, una più intensa frequentazione operativa lo condusse a ispessire il rapporto con Dino Grandi, che, morto Italo Balbo, restava l’esponente più indipendente del vertice del fascismo.

Nel 1942 Vittorio Emanuele III lo nomina Conte di Buccari, in aggiunta al titolo di Conte di Cortellazzo che era stato conferito a suo padre Costanzo dopo la prima guerra mondiale. Nella primavera del 1943, in occasione di un rimpasto delle cariche istituzionali con la quale Mussolini sperava di riaffidare i posti-chiave a uomini di certa fiducia, Ciano venne mandato come ambasciatore in Vaticano. È in questo momento che il suo rapporto con Monsignor Montini – futuro papa e allora sostituto alla segreteria di Stato della Santa Sede – raggiunse la maggiore intensità, tenendo il regime fascista in contatto con tutte le principali potenze internazionali, attraverso la mediazione dell’influente prelato.

Con la fine dell’incarico di ministro finì anche la stesura dei celebri Diari, terminata l’8 febbraio 1943.

Il 25 luglio

Il 25 luglio 1943, quando l’opposizione interna guidata da Dino Grandi (che si coordinava con il Quirinale) stava infine per sconfiggere Mussolini, Ciano vi si unì. Al Gran Consiglio del fascismo, infatti, votò l’ordine del giorno di Grandi (insieme ad altri diciotto gerarchi), approvando perciò l’indicazione contenuta nella mozione, volta a far sì che il re riprendesse in mano l’esercito e il governo della nazione; in pratica, quello di Ciano fu un voto pesantissimo e dalle conseguenze irreversibili contro il suocero. Va notato che questi avrebbe avuto modo di fermare l’azione di questa fronda, invece, rinunziando in un certo senso a opporvisi, l’agevolò sia convocando il Gran Consiglio (che non si riuniva da diversi anni e che non era ritenuto da autorevoli giuristi dell’epoca competente a deliberare sul tema dei rapporti istituzionali tra Governo e Monarchia), sia consentendo di mettere ai voti la mozione, sia – infine – disponendo di metterla ai voti per prima rispetto alle mozioni alternative di Carlo Scorza e Farinacci.

Si è a lungo congetturato sulle reali motivazioni dell’adesione di Ciano alla proposta di Grandi, tenuto conto che al voto sul famoso ordine del giorno, dovrebbe esser giunto dopo averne discusso col Duce, informato dallo stesso Grandi con qualche giorno di anticipo (ma anche Mussolini, è stato fatto notare, doveva essere ben al corrente dell’adesione del genero). Probabilmente Ciano condivideva con gli altri due gerarchi la considerazione che il tempo del fascismo fosse venuto a esaurimento ma, forse, ritenendosi ancora candidato alla successione, pensava che in una nuova gattopardesca riformulazione poco sarebbe cambiato e che egli sarebbe rimasto in auge.

Il voto di Ciano fu, sotto un profilo di pubblica immagine, il colpo più grave inferto al prestigio del capo del regime, cui di fatto pareva che nemmeno il genero fosse più affidabile. Le previsioni ottimistiche di Ciano, che si prefigurava rimpasti e aggiustamenti dopo questa sorta di golpe (disse infatti a Bottai di attendersi che ci si sarebbe «aggiustati»), naufragarono insieme con la disillusione di Grandi, che credeva di aver operato per consegnare il comando al Maresciallo d’Italia Enrico Caviglia e che, invece, vide salire al potere il parigrado ma poco gradito Badoglio.

Badoglio avrebbe d’un tratto bruciato tutte le aspettative dei gerarchi, schierando una compagine d’apparato tutta «del re» e cominciando immediatamente la defascistizzazione dello Stato. Se Bottai ne era quasi contento, Grandi ne era sorpreso (più che altro per il poco chiaro atteggiamento del Sovrano); Ciano – che il 31 luglio si era dimesso dall’ambasciata in Vaticano – fu invece quello che si trovò maggiormente spiazzato e, a differenza degli altri due, tardò a mettersi in salvo. Nello sconcerto, acuito poco dopo dall’armistizio di Cassibile, cercò invano di organizzare un esilio protetto per la sua famiglia, ma il Vaticano si rifiutò di nasconderli. Nei giorni convulsi dell’agosto 1943 fuggì a Monaco di Baviera, convinto di trovarvi protezione e un aereo per la Spagna, ignorando che nel frattempo Vittorio Mussolini, Roberto Farinacci e Alessandro Pavolini stavano accusando alla radio i traditori del fascismo e in particolare lui, che divenne il bersaglio principale.

La fine

Ciano fu estradato in Italia su esplicita richiesta del neonato Partito Fascista Repubblicano, il 17 ottobre 1943 per essere incarcerato; Edda e i figli erano rientrati in Italia alcuni giorni prima.

Galeazzo Ciano al processo di Verona

A opera di Alessandro Pavolini si allestiva il processo ai «traditori» del 25 luglio, e il voto al Gran Consiglio fu considerato alto tradimento. Durante il processo gli inquirenti trattarono Ciano quasi con benevolenza temendo che Ciano raccontasse avvenimenti segreti, sgraditi al Regime fascista.

Dopo una celere assise pubblica, nota come processo di Verona, Ciano venne riconosciuto colpevole insieme a Marinelli, Gottardi, Pareschi e al vecchio generale Emilio De Bono (insieme con altri gerarchi contumaci); inoltre, il genero del Duce fu l’unico imputato a essere condannato alla fucilazione all’unanimità: gli altri ricevettero 5 voti favorevoli e 4 contrari (Tullio Cianetti ebbe il risultato opposto) mentre contro l’ex Ministro degli Esteri si registrò un 9 a 0.

La sera prima dell’esecuzione, Ciano si rifiutò, in primo momento, di firmare la petizione di grazia al Duce ma poi, pressato dai suoi compagni di carcere, finì per accettare. Pavolini, indispettito, passò l’intera notte a cercare un funzionario che firmasse la respinta alla domanda di grazia. Tutti si rifiutarono di firmare, alla fine trovò, o meglio, costrinse un piccolo funzionario a firmare contro la sua volontà. Comunque, Mussolini non si mosse per salvare il genero.

L’11 gennaio 1944 avvenne l’esecuzione di Ciano al poligono di tiro di Verona, insieme agli altri quattro ex-gerarchi, legati alle sedie e fucilati alla schiena come in uso ai traditori. Prima della fucilazione Ciano pronunciò a Monsignor Chiot le seguenti parole: “Faccia sapere ai miei figli che muoio senza rancore per nessuno. Siamo tutti travolti nella stessa bufera”. Prima degli spari si girò verso il plotone di esecuzione. Un cineoperatore tedesco riprese tutta la scena. Ciano non morì immediatamente: i fucilati, seduti e di schiena, offrirono un bersaglio più difficile per gli organi vitali; il plotone di esecuzione non sparò a distanza ravvicinata e fu necessario il colpo di grazia con due proiettili alla testa. Il crudo filmato, realizzato dal cineoperatore tedesco e scomparso durante i primi governi De Gasperi, fu ritrovato grazie a Renzo De Felice.

Dopo l’esecuzione Edda fuggì in Svizzera portando con sé i preziosi diari del marito, nascosti sotto la pelliccia piena di tasche insieme con alcuni gioielli e una lettera per la madre, donna Rachele. Il corrispondente di guerra Paul Ghali del Chicago Daily News apprese del suo segreto internamento in un convento svizzero e organizzò la pubblicazione dei diari. Essi rivelano, pur tra abbellimenti e riscritture postdatate, la storia segreta del regime fascista dal 1937 al 1943 e sono considerati una fonte storica primaria (i diari sono strettamente politici e contengono poco della vita privata di Ciano).

Il corpo di Ciano oggi riposa nel Cimitero della Purificazione, a Livorno.

L’operazione Conte

Galeazzo Ciano nel carcere degli Scalzi

A cavallo tra il 1943 e il 1944 si venne a sviluppare un piano che puntava alla liberazione di Ciano in cambio dei suoi diari che vedeva coinvolti il tenente colonnello Wilhelm Höttl, capo del servizio segreto tedesco in Italia e Ernst Kaltenbrunner, comandante in capo del Reichssicherheitshauptamt, responsabile delle operazioni dei servizi segreti in Germania e all’estero. Si prevedeva un’azione di forza tedesca per liberare Ciano e acquisire i diari, così come fu proposta da Frau Beetz, il 28 dicembre, al generale Harster. L’operazione che avrebbe dovuto svolgersi mantenendo Hitler all’oscuro di tutto fu denominata «Operazione Conte». L’operazione fu bloccata da Hitler il quale, venuto a conoscenza della cosa, decise di non concedere il suo avallo

Per approfondite ricerche su Galeazzo Ciano, su tutta la sua vita e carriera , si rimanda alle seguenti fonti web :

Wikipedia Galeazzo CianoWikipedia

 

8.20

Informazioni aggiuntive

Peso1 kg
Dimensioni40 × 40 × 40 cm

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