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❌🙁Guido KELLER autografo FIUME – lettera – LA YOGA

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Autentico componimento autografo redatto su carta intestata “VINCERSI PER VINCERE”  dall’eclettico e stravagante Guido KELLER , eccezionale aviatore nella prima guerra, e con d’Annunzio a Fiume.

Il testo del componimento recita :

GOCCIA DI RUGIADA

Sono un fiore col suo / segreto di vastità / Ti desidero perdutamente, / per la sete ardente del / mio cuore. / Cresco sulla riva d’uno stagno / pieno di rane. Vorrei le / ali delle grù. / Una nuvola è nel cielo / piena d’ombra forse giungi / con quella. / Guido Keller

Il foglio in carta filigranata, leggero, misure cm.33 x 21,5 , ovvero cm.16,5 x 21,5 ogni facciata.

In ottime condizioni di conservazione.

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Descrizione

Autentico componimento autografo redatto su carta intestata “VINCERSI PER VINCERE”  dall’eclettico e stravagante Guido KELLER , che fu eccezionale aviatore nella prima guerra, e con d’Annunzio durante l’epopea di Fiume. Si tratta di un foglio piegato in due, con quattro facciate, e due di queste facciate (la prima e la terza) sono state compilate con la poesia  GOCCIA DI RUGIADA  scritta a mano da Guido Keller, e la seconda facciata riporta invece un “appunto” , una “nota editoriale” , di altra mano.

Il testo del componimento recita :

 

GOCCIA DI RUGIADA

Sono un fiore col suo
segreto di vastità
Ti desidero perdutamente,
per la sete ardente del
mio cuore.
Cresco sulla riva d’uno stagno
pieno di rane. Vorrei le
ali delle grù.
Una nuvola è nel cielo
piena d’ombra forse giungi
con quella.

                Guido Keller

 

Al termine del componimento, redatto con altra penna e da altra mano, quindi sulla terza e quarta facciata, leggiamo parzialmente il seguente commento ” Signora, questo è … con un palese senso di speranza, à sete ma di ‘foietta’ . Vive fra le rane perchè non può che gracidare … La prego un …. : ….” . Non si capisce chi sia l’autore del commento, e non si sa chi potrà essere stata la destinataria della poesia, vieppiù del commento stesso.

La prima facciata reca all’angolo alto sinistro, stampato, il motto “VINCERSI PER VINCERE”  all’interno di un cerchio. Non si sono rinvenute notizie su questa stampa, non è chiaro se questo possa avere qualche legame con il movimento YOGA … sono ben accette idee, suggerimenti e magari spiegazioni plausibili o comprovate !

Il foglio in carta filigranata, leggero, aperto misura cm.33 x 21,5 , ovvero cm.16,5 x 21,5 ogni facciata.

In ottime condizioni di conservazione, per quello che un foglio di carta dopo cento anni può essere. Piccoli taglietti sparsi.

 

MATERIALE     :  carta

MISURE             : cm.16,5 x 21,5 per quattro facciate

MARCHIO         :  VINCERSI PER VINCERE

NOTIZIE

Guido Keller nasce a Milano nel 1892 (o 1894) da un’antica famiglia aristocratica elvetica, i conti Keller von Kellerer, che si era trasferita in Lombardia verso la metà del Diciottesimo secolo. Personaggio eccentrico, “un po’ guascone e un po’ Don Chisciotte” (Claudia Salaris, Alla festa della rivoluzione. Artisti e libertari con D’Annunzio a Fiume, il Mulino, 2002), da molti definito “scapigliato”, esteta e uomo d’azione, appassionato di letteratura italiana e straniera, di arti figurative, musica, filosofia e sport, amante del rischio e refrattario alla disciplina e alle convenzioni.

“Keller era piccolo di statura, con una capigliatura sempre troppo abbondante e arruffatissima, con una barba selvaggia ma con baffi fieramente obbligati all’insù come quelli di un moschettiere. Aveva uno sguardo fra l’accigliato e il tenero; era alieno dagli scatti con i quali ognuno reagisce di fronte ad una enormità, contentandosi di una scrollatina di spalle o di un malinconico oscillare della grossa testa. Nessuno lo sentì mai alzare la voce. Sul più bello di una discussione nella quale stava per persuaderti (caso raro, perché di solito non lo capivi) ti lasciava, senza concludere la sua vittoria. Se mai sorrideva, ed era un sorriso che non dimenticavi più, niente ironia, niente superiorità: il bel sorriso puro di un fanciullo. Ma sorrideva rarissimamente perché tutto ciò che vedeva, anche la più grossa stramberia, era per lui cosa normalissima, e lo lasciava indifferente, o paternamente consenziente. Sorrideva di rado. Una vera risata, poi, non l’ha mai fatta. […] Sempre spiantato e sempre trasandato nel vestire ma con l’indifferenza del gran signore, un giorno ti capitava davanti con un capo di raffinata eleganza: una cravatta, un paio di scarpe indubbiamente provenienti da un ottimo negozio. Ma il giorno dopo la cravatta era lordata da una larga macchia d’olio che lui non si curava di togliere, e le scarpe erano orribilmente scalcagnate. Le aveva adoperate per una gita in montagna dove si era arrampicato di notte per assistere allo splendore dell’alba. E ti raccontava, senza enfasi però, la commozione che ne aveva provato. Ma se gli proponevi di ripetere la gita insieme ti guardava come se tu fossi matto.” – Mario Fucini, generale dell’Aeronautica e personaggio di spicco della prima guerra mondiale (da Igino Mencarelli, Guido Keller, Ufficio storico dell’Aeronautica, 1970)

Dopo le scuole elementari Keller viene mandato dai genitori a studiare in un convitto svizzero rigoroso e frequentato da famiglie illustri, ma vi resiste soltanto un paio di anni. Nel 1915 si iscrive al Battaglione aviatori civili di Mirafiori dove si distingue come uno dei migliori piloti e allievi. Ottiene il brevetto civile su apparecchio Blériot e si arruola nell’Aeronautica. Il primo giugno 1915 viene nominato pilota militare su Aviatik e il 15 novembre dello stesso anno diventa comandante della Terza Squadriglia Aviatik. Spericolato e imprevedibile, rischia spesso la vita: affronta ogni impresa con grande eccitazione e con un coraggio al limite della follia e s’incanta a guardare i paesaggi che sorvola tanto che il più delle volte perde di vista il proprio obiettivo e si dimentica degli attacchi nemici. Volare, per lui, è un momento estatico e, da vero dandy, porta un servizio da tè a bordo del suo velivolo e non indossa mai la divisa tradizionale.

“Keller era solito volare in abiti succinti, senza giacca, calzando in capo, in luogo del baschetto di cuoio, un fez da bersagliere munito di un lunghissimo cordone terminante in un grande fiocco: il cordone, come lui desiderava, si distendeva in aria, a guisa di una tremula manica a vento. E in volo talvolta leggeva tenendo il volume assicurato al ginocchio a mezzo di una funicella: leggeva l’Orlando Furioso, oppure liriche del Leopardi, del Petrarca, o tragedie di Shakespeare. Leggeva davvero perché, dopo l’atterraggio, più che riferire della missione compiuta, si preoccupava di commentare il libro.” – Igino Mencarelli

Keller igienista, nudista

Keller è un fanatico igienista, cultore del naturismo e del nudismo: gira sempre a torso nudo per il campo di aviazione e non si separa mai dalla sua aquila addestrata, chiamata proprio come lui, con la quale dorme, quasi sempre seminudo, appollaiato in cima a un albero.

“Così disdegnava passare la notte nello ‘alloggio signori ufficiali’ e si era trovato un albero in fondo al campo, sotto al quale una squadra di soldati, con abbondante lavoro di badile, era riuscita a scavare una specie di grotta o di ricovero. […] Nelle ore di libertà saliva sull’albero, nudo completamente e nell’aerea dimora svolgeva tutte quelle attività – anche le più naturali… – che molti uomini disimpegnano al livello del terreno.” – Atlantico Ferrari, L’Asso di cuori Guido Keller, Cremonese, 1933

“Nelle giornate serene, trascorreva le ore libere da impegni di servizio e di volo, nelle campagne circostanti: si denudava, prendeva bagni di sole, faceva lunghe marce, corse, esercizi ginnici. Ad eccezione dei mesi invernali, dormiva sotto la tenda. Una volta, in un campo di guerra, si fece costruire, come sua dimora, una grotta.”- Igino Mencarelli

 

Guido KELLER pitale

A Mirafiori gira voce che Keller abbia la testa talmente dura da riuscire a frantumare un’elica. Keller si indispettisce, convoca tutti i “calunniatori” e crea la bizzarra Società degli amici del pelo. A ognuno di loro taglia un ciocca di capelli e gli elenca le norme della società.

“Terminata la cerimonia, serio e solenne come un sacerdote che compie una cerimonia liturgica, seguito dai ‘soci’ in processione, raggiunse l’hangar e partì in volo recando, in una busta, i capelli degli stessi soci e arrivato su Torino li sparse nel cielo della città ‘in segno di promessa e di protezione dei piloti di Mirafiori’. – Igino Mencarelli

Fiume , d’Annunzio , La Yoga

La popolarità di Keller dilaga nel periodo della cosiddetta “passione fiumana e dalmatica”. La sua fama di abile aviatore e di sostenitore della libertà di pensiero gli permettono di entrare in contatto con personaggi di un certo calibro: oltre a Francesco Baracca (Keller fa parte della sua squadriglia durante la grande guerra), conosce infatti l’ufficiale telegrafista Comisso e soprattutto Gabriele D’Annunzio. Keller aveva incontrato il Vate durante la guerra e ne era diventato seguace a Venezia, dopo l’armistizio. Nel settembre del 1919 D’Annunzio occupa Fiume con un piccolo gruppo di legionari, ma presto le gesta leggendarie del poeta-soldato richiamano migliaia di uomini, soprattutto ex combattenti, fra cui Keller: “Il Comandante lo consulta e gli vuol bene. I bambini piccini credono che sia il Diavolo” (Leone Kochnitzky, La quinta stagione o i centauri di Fiume, a cura di Alberto Luchini, Zanichelli, 1922). Non meno significativo è l’incontro con Giovanni Comisso, futuro scrittore e poeta:

“Un giorno sulle scale dell’albergo mi incontrai con l’aviatore Guido Keller, segretario d’azione del Comandante. Guardavo questo uomo strano di volto in cui brillavano acutissimi gli occhi neri, che mi scrutavano dalla testa ai piedi. Quando fummo vicini, mi tese la mano e subito ci mettemmo a parlare. […] Parlammo di fare la rivoluzione che cominciasse a mutare l’ordinamento dell’esercito, di abolire i gradi superiori al capitano, di ricreare le antiche compagnie di ventura di tradizione italiana, di prendere l’ardito come tipo esemplare del vero soldato italiano e di modificare la divisa, abolendo il colletto chiuso e la inutile spada” – Giovanni Comisso, Le mie stagioni, Longanesi, 1963

*
YOGA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Insieme fondano il movimento denominato La Yoga, l’Unione di Spiriti Liberi tendenti alla perfezione, che assume come simbolo una svastica – allora allegoria del carro e del sole – e una rosa a cinque petali. Il movimento, con tendenze esoteriche e trasgressive, si pone l’obiettivo di contrastare gli elementi moderati e conservatori che circondano D’Annunzio e si apre al libero amore, alle orge gay, a ladri e prostitute. Nei proclami del gruppo viene teorizzata la necessità di “insegnare la scienza dell’Amore cioè della Trasformazione. L’Amore come sensazione, come sentimento, come idea; […] la filosofia non come amore della Scienza, ma come Scienza dell’Amore” (Ferdinando Gerra, L’impresa di Fiume. II: La Reggenza italiana del Carnaro, Longanesi). L’esperienza fiumana viene vissuta “come momento perennemente ludico”, come una festa continua, ma rimane ancorata all’impegno e alla realtà. I due progettano anche il Castello d’amore, una festa in costume con ambientazione medievale per il Carnevale del 1920, che viene però bocciata da D’Annunzio:

“Ma perché avete pensato a una festa così antiquata; sembra la mia Francesca da Rimini. No, no. Si direbbe ‘Ecco il solito D’Annunzio’. Penserò io a qualcosa di nuovo”.

Keller, inoltre, dà vita a una compagnia destinata alla guardia del corpo del Comandante (come si fa chiamare D’Annunzio), denominata La Disperata e formata da un gruppo di giovani soldati scapestrati che non sono stati accolti dal Comando e si sono accampati nei cantieri navali della città.

“Andato a vedere cosa vi facevano, trovò che se ne stavano nudi a tuffarsi dalle prue delle navi immobilizzate, altri cercavano di manovrare vecchie locomotive che un tempo correvano tra Fiume e Budapest, altri arrampicati sulle gru, cantavano. Gli apparvero ebri e felici, li fece radunare e li passò in rassegna: erano tutti bellissimi, fierissimi e li giudicò i migliori soldati di Fiume. Inquadrò questi soldati che tutti chiamavano i disperati per la loro situazione di abbandono e li offerse al Comandante come una guardia personale. La sua decisione fece scandalo tra gli ufficiali superiori, ma il Comandante accettò l’offerta. Con la creazione di questa compagnia, Keller aveva cominciato a realizzare le sue idee di un nuovo ordine militare. Grande parte del giorno questi nuovi soldati facevano esercizio di nuoto e di voga, cantavano e marciavano attraverso la città a torso nudo con calzoncini corti, non avevano obbligo di rimanere chiusi in caserma, ma gli stessi esercizi con la loro piacevolezza li persuadevano a tenersi raggruppati e alla sera per loro divertimento se ne andavano in una località deserta chiamata La torretta, dove divisi in due schiere iniziavano veri combattimenti a bombe a mano, e non mancavano i feriti. [Era un] manipolo di uomini decisi, spregiudicati, violenti nell’adorazione e nell’impeto: fiore della rivolta e della libertà, passato attraverso il setaccio della guerra e degli stati d’animo, se non delle idee, rivoluzionari. Erano mastini ed erano fanciulli: sicuri come truppe di colore, consapevoli come ‘soldati della morte’, lieti e canori come atleti in gara continua. Alcuni elementi moralmente impuri non la deturparono, ma le diedero un colore crepuscolare di gente maledetta dai saggi e dai mediocri, che costituì il suo fascino più orgoglioso”. – Giovanni Comisso

“Il motto dei legionari era: ‘Me ne frego!’ ed i cuori delle fanciulle si facevano rapire. Passavano svelti sfiorando la terra – il torso nudo – le gambe nervose – cantando inghirlandati di fiori dopo il nobile esercizio delle armi.”

Tra Keller e D’Annunzio si instaura un forte legame e l’aviatore sarà l’unico autorizzato a dargli del tu.
Il poeta attribuisce la mancata annessione di Fiume all’allora presidente del Consiglio Francesco Saverio Nitti e trova il pieno consenso dei legionari. È in questa occasione che Keller compie la sua impresa più memorabile: vola su Roma e lancia tre “messaggi”, rispettivamente sul Vaticano, sul Quirinale e su Montecitorio, con lo scopo di perorare la causa dannunziana e colpire l’opinione pubblica.

“Giunto a destinazione offro al Vaticano delle rose rosse per Frate Francesco, sul Quirinale lancio altre rose rosse alla Regina e al Popolo, in pegno d’amore. Su Montecitorio scaglio invece un arnese di ferro smaltato, con uno striscione di stoffa rossa, delle rape legate al manico e un messaggio: Guido Keller – Ala Azione nello splendore – dona al Parlamento e al Governo che si reggono da tempo con la menzogna e la paura, la tangibilità allegorica del Loro Valore. Roma, 14 del terzo mese della Reggenza.” – Igino Mencarelli

L’arnese di ferro smaltato cade sul tetto dell’Hotel Milan. Sul momento tutti pensano che sia una bomba, ma non segue nessuna esplosione: “…qualcuno del personale dell’albergo salito sul tetto e avvicinatosi con precauzione all’involucro caduto non tardò a riconoscere che non si trattava di una bomba, ma di un oggetto che sta abitualmente nei comodini vicino al letto, un po’ più grande dell’ordinario…” – Da Roma, in Yoga, n. 2, 20 novembre 1920

L’oggetto in questione altro non è che un pitale su cui Keller viene spesso ritratto.

Guido KELLER

 

Il futurismo, la fine

Dopo l’esperienza di Fiume, Keller non riesce più a trovare un suo equilibrio anche a causa dell’enorme uso di cocaina. Si trasferisce prima in Turchia, dove cerca di allestire, fallendo, una scuola di pilotaggio, poi a Berlino, dove si distingue per il suo anticonformismo. Con l’intento di fondere le repubbliche sudamericane, si lancia in un’impresa rivoluzionaria di cui parla all’amico Sandro Pozzi.

“La bella tradizione di fede à dilagato il suo respiro nelle terre d’oltre mare. I morti sono pari a quelli di Fiume. Seguo il cammino dettato dal destino: ho cercato la mia terra tranquilla lontana e come Ulisse sono caduto dalla padella nella brace”. – Sandro Pozzi, Guido Keller. Nel pensiero nelle gesta, curata da Sandro Pozzi, Mediolanum, 1933

Guido KELLER autografo FIUME

Tornato in patria nel 1928, Keller si lega ai futuristi e sogna progetti come la Conquista del sole (uno spettacolo aereo che prevede la collaborazione del pittore e pilota futurista Fedele Azari) e la Città di vita, un luogo isolato per artisti ed esteti in cui riprodurre l’idea della vita-festa di Fiume.
Keller muore nel 1929 in un incidente stradale insieme a due amici e colleghi, Vittorio Montiglio e Giovanni Battista Salina, nei pressi di Otricoli (Terni), mentre sono diretti a Vallombrosa. Viene sepolto vicino alla tomba di D’Annunzio.

MIGLIORI NOTIZIE SUL KELLER E LA YOGA

Guido Keller (Milano, 6 febbraio 1892 – Otricoli, 9 novembre 1929) è stato un aviatore italiano ed uno dei partecipanti all’impresa di Fiume guidata da Gabriele D’Annunzio. Fu autore di un conferenza autobiografica dal titolo Nel pensiero e nelle gesta.
Personaggio scapigliato, apparteneva ad una famiglia aristocratica milanese di origine elvetica. Nel corso della prima guerra mondiale fu ufficiale pilota del Corpo Aeronautico Militare nella 91ª Squadriglia Aeroplani da Caccia comandata da Francesco Baracca.
Fu fondatore a Fiume del gruppo Yoga – che aveva come simbolo la svastica e la rosa a cinque petali e che fu un gruppo con tendenze esoteriche e naturistiche, si oppose alla frangia reazionaria fiumana (secondo quanto evidenziano gli scritti del gruppo Yoga pubblicati su Unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione).
“Nel novembre 1920, ad avventura fiumana ormai quasi finita, Guido Keller e Comisso decidono di pubblicare una rivista settimanale, con articoli senza autografo, per diffondere le idee della Lega di Fiume. Rifacendosi a un vago misticismo indiano allora di moda, la chiamano «Yoga», con il sottotitolo «Unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione»; alla sua sinistra è raffigurata una svastica, l’antico simbolo ariano del sole: «La Yoga riunirà sotto il suo segno l’antichissima e misteriosa svastica, tutti gli uomini forti e fieri, che ambiscono di spezzare questi falsi idoli che sono sulla terra e nelle credenze del nostro spirito, tutti gli uomini che hanno per numi Vita e Bellezza».
Ne usciranno solo quattro numeri; il tredici, venti, ventisette novembre e il quattro dicembre. Secondo Umberto Carpi è stato lo stesso D’Annunzio a contrastarne la pubblicazione, a causa delle reazioni negative espresse dalle forze più moderate presenti a Fiume. Le idee programmatiche della rivista nata a Fiume, sono esposte in due articoli, Prolegomeni Prospettive ltaliche, privi di firma, come del resto tutti gli altri senza autografo e gerente responsabile ne è lo stesso Guido Keller.
In breve: il «Genio della razza italica», aristocratico, individualista, è stato pervertito dalle idee democratiche e borghesi delle «razze negative», inglesi, francesi e soprattutto ebree, che si sono infiltrate in Italia per mezzo della borghesia ottocentesca. Costoro, con il pretesto di introdurre le idee di democrazia e uguaglianza «copiate» dalla rivoluzione francese e dal positivismo «materialista», hanno creato con la grande industria una massa di schiavi. E’ necessario tornare alle autentiche tradizioni dello «spirito italico», compiutamente espresso nel Rinascimento, e basate sul Principe, l’artigianato e sul «binomio perfetto di terra e mare». La maggioranza del popolo italiano deve dedicarsi all’agricoltura, alla pesca e ai commerci, liberando «dalla schiavitù delle industrie parassitarie lo stuolo degli operai».
Emblematico di queste concezioni condivise con Guido Keller è il breve articolo autografo, comparso sul numero 3  del 27 novembre 1920, in favore del nazionalista croato Stefano Radic, capo del partito dei contadini, a Fiume:
Le sue idee sono queste: la Croazia è una terra contadina. Il governo della Croazia deve essere scelto tra i contadini. I croati devono restare come sono: vivere della terra. Stefano Radic ha l’anima da poeta e il cervello che antivede perché sa. La Croazia sta attraversando la crisi dell’uomo di campagna presso al quale la città ingrandendosi è venuta a confinare. Egli sente i suoi vestiti e le sue scarpe e le sue mani callose come aspetti inadatti al nuovo stato, ma egli non si può mutare il cuore e se un superficiale entusiasmo e meraviglia lo turba e male lo fa considerare: dura è la sua radice. Si guardi la Croazia dall’invasione industriale, sia questa americana, francese, tedesca o italiana  pensa Stefano Radic  l’Italia sta scontando la sua leggerezza nell’aver lasciato radicare nel suo suolo i templi ed i sistemi delle razze formali, Croazia, sappi che oggi essi sono le nostre pietre più indigeste si potrebbe soggiungere noi ed ammonire.
Nell’articolo Vogliamo vivere (20 novembre 1920, n. 2) vi è una feroce denuncia dell’alienazione del lavoro salariato, per «l’esaltazione dell’individualità»:
L’operaio moderno è più libero? è più felice? No, anzi è più schiavo, è più misero, perché crede di aver migliorato le sue condizioni, perché con ogni aumento di paga e con ogni diminuzione di lavoro crede di migliorare il suo stato. mentre diventa invece sempre più schiavo, sempre più abbietto. Che cosa fai tu, che cosa senti, operaio nell’officina? Sei lo schiavo di una macchina. Dotato dalla natura dell’intelligenza di un dio e della bellezza degli angeli, ti sei abbassato a servire una macchina. Il fuochista che consuma la sua vita (VITA! VITA!), per dar cibo alla vertiginosa locomotiva o alle insaziabili fornaci dell’insensato Transatlantico… è scontento della sua paga. Con quanta ragione. oh Dio creatore! L’unico suo torto è questo, credere che esista una paga sufficiente… per tale lavoro!
In «Yoga» vi sono anche articoli di carattere letterario e artistico, ispirati da Comisso, che si rifanno alla metafisica di Giorgio De Chirico e di suo fratello Alberto Savinio. In particolare, il saggio Anadioménon di Savinio, ripreso dalla rivista romana «Valori Plastici» e una prosa di Filippo De Pisis, amico di Comisso, Asilo infantile israelitico. «Voga», come il movimento metafisica, voleva restaurare i «valori dello spirito», di contro al materialismo positivista. Per questo si oppone al futurismo che invece esalta il meccanicismo e il modernismo. E’ questa la contraddizione di Keller; ama l’aeroplano, che era l’espressione più alta della tecnologia dei suoi tempi, ma disprezza la civiltà industriale. Del resto, come D’ Annunzio, concepiva il velivolo come un prodotto artigianale che doveva, ispirandosi a Leonardo, imitare il volo degli uccelli. Scrive a tale proposito Sandro Pozzi, il legionario fiumano «legato a Keller da una strana amicizia rotta da frequenti e clamorosi litigi», nella sua biografia dell’amico:
Non certo il volo meccanico, né il motore rombante e travolgente l’avevano conquiso. Egli intese nell’aviazione una possibilità di evasione spirituale, un sublimarsi ed astrarsi della materia verso i misteri più alti e più puri della natura. E fu quell’alone eroico che l’aviazione ai suoi albori (con tanti suoi olocausti pionieri) effondeva, che l’attrasse ed affascinò: egli sempre andava là dove maggiore era il rischio e la bellezza del sacrifìcio.
In occasione della firma del trattato di Rapallo (12 novembre 1920) che sanciva un compromesso tra il governo italiano e quello jugoslavo su Fiume e la Dalmazia, Keller progetta di rapire Giolitti mentre si recava in treno all’incontro. Fallito l’improbabile piano per la defezione dei suoi «seguaci», ripiega su un gesto dimostrativo. Vola su Roma e lascia cadere un vaso da notte, con dentro un mazzo di rape, sopra il Parlamento; unito vi è un biglietto: «Guido Keller – Ala azione nello splendore – dona al parlamento ed al governo che si regge col tempo, la menzogna e la paura, la tangibilità allegorica del loro valore». Getta anche un mazzo di rose rosse sul Quirinale in onore della regina madre di cui ricorreva il compleanno, e uno su San Pietro «per frate Francesco».
L’episodio ebbe un’eco vastissima su tutta la stampa nazionale e suscitò scandalo nella stessa Fiume, dove i moderati, che stavano per avere il sopravvento, cominciarono ad emarginarlo, definendolo un «pazzoide». Solo «Yoga» lo difende con un articolo pubblicato sul n. 3 del 27 novembre 1920 intitolato significativamente Montecagorio:
Molti giornali vogliono far passare Guido Keller per un pazzoide, figura secondaria di Fiume. Noi ricordiamo che egli, asso della Squadriglia Baracca, inarrivabile pilota, fu tra i primi e tra i più fidi seguaci di Gabriele D’Annunzio, al quale è legato da forte affetto. In Fiume d’Italia Guido Keller è una testa di ferro per la quale la conclusione amorosa del Tasso è un autografo che santifica le labbra della pura follia «amore tanto esser più nobile quanto è men governato dalla ragione». Egli è l’intelligenza, l’audacia, la fede= pazzia. Come tutti i buoni volatori, Keller è un folle, è un Ulisse dal «Folle volo». È, in una parola, un Italiano, indicibilmente Italiano; è un irregolare, è un eretico, tutto volitivo. Ha in sé un po’ del Cecco Angiolieri e del Fanfulla, spirito bizzarro, non scettico, fiero, che da solo vale tutta la
ballonzolante moltitudine dei greppaioli di Montecagorio. E un soldato di ventura, che si batte per un soldo d’ideale e di libertà; è uno che non ha intorno al collo la corda della libertà ufficiale, né affonda nella greppia il muso ingordo con rumore di mandibole voraci. In quest’era di vigliaccheria e di vituperio della Patria Keller rappresenta fedelmente e con luce i soldati di ventura di Fiume, i belli lanzichenecchi della libertà e dell’eresia; i garibaldini spavaldi della libertà che volano e volando sputano, non dico sull’aiuola dantesca, ma sul caccatoio d’ Italia e lanciano quelle spregiate crete che possono essere utilissime in ogni evenienza, a tutti i cagoia ed a tutti i Misiano dell’Italico Regno. Keller è il volatore fiumano tipico che vola con qualsiasi tempo, per ore e ore sul petroso Carso a venti metri da terra, leggendo e declamando, atterrando magari nelle doline senza minimamente scalfire le tele ed i legni del suo apparecchio; vola parlando alla sua mascotte: una civetta; vola tenendo per suo compagno di volo un paziente asinello dall’occhio umano. È un volatore magnifico.”
(da L’aeronautica italiana: una storia del Novecento di Paolo Ferrari)

 

Considerata la vastità dell’argomento, si rimandano i gentili amici a ricerche personali.

Fonti  Oblique , Keller

 

 

4.20

Informazioni aggiuntive

Peso,5 kg
Dimensioni20 × 20 × 20 cm

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