Description
Nave giocattolo DUILIO , degli anni ’30 del secolo scorso, realizzata dalla ditta VENTURA di Preganziol (TV). Realizzata su modello di un Cacciatorpediniere o Navigatore, Esploratore, della flotta della Regia Marina.
Essendo un giocattolo, imita la nave reale, e la VENTURA era specializzata in giocattoli di questo tipo, avendo prodotto numerose navi giocattolo, anche per assecondare la volontà di propaganda militare fortemente attiva nel periodo del ventennio fascista.
Questa nave giocattolo DUILIO della Ventura, è interamente costruita in legno, provvista di due alberi che possono essere rimossi, da due batterie di cannoni a prua e poppa, e due batterie di cannoncini. Troviamo anche la torretta telemetrica. Il timone è orientabile, e provvisto di un’elica tripale che viene azionata una volta data la necessaria carica al motore meccanico, perfettamente funzionante, celato all’interno del massiccio scafo in legno ed accessibile tramite chiave metallica dal foro presente sul tetto della cabina di comando. In questo modo la nave può realmente navigare in uno stagno , una piscina, come si usava giocare realmente a quei tempi.
La ringhiera di protezione corre lungo tutto il perimetro dello scafo, ed è una eccezionale realizzazione di tubicino di ottone, con supporti e passanti.
Il marchio della ditta VENTURA, lo troviamo rappresentato dalla classica decalcomania di forma triangolare, che racchiude la siglia VZT ed un piccolo ragnetto di colore nero. La nave giocattolo DUILIO della Ventura è in ottime condizioni, con segni del tempo di normale amministrazione per un oggetto che nasceva per far divertire i bambini !
MATERIALE : Legno e parti in metallo, motore con carica a molla
MISURE : lunghezza cm.60 circa
MARCHIO : VZT – Ventura
NOTIZIE
Regia Nave da battaglia Caio Duilio
Esploratore Luca Tarigo, prima unità della classe, in navigazione negli anni trenta, da cui trae spunto la nave giocattolo DUILIO della Ventura
La classe Navigatori era una serie di navi da guerra della Regia Marina originariamente impostate, nel 1928, come appartenenti alla tipologia “esploratore” e riclassificate cacciatorpediniere dal 5 settembre 1938. La classe era composta da 12 unità che avevano i nomi di altrettanti celebri navigatori italiani: Alvise da Mosto, Antonio da Noli, Nicoloso da Recco, Giovanni da Verrazzano, Lanzerotto Malocello, Leone Pancaldo, Emanuele Pessagno, Antonio Pigafetta, Luca Tarigo, Antoniotto Usodimare, Ugolino Vivaldi e Nicolò Zeno, anche se la nave giocattolo della Ventura è stata denominata DUILIO.
La classe Navigatori fu l’ultima classe di “esploratori” progettata e costruita per la Regia Marina, in un momento storico in cui le strategie della guerra marittima stavano già mutando e l’aviazione stava già prendendo un ruolo preponderante nei compiti di ricognizione e avanscoperta. Per capire quindi i motivi che spinsero la Regia Marina a dotarsi di un tipo di nave di per sé obsoleto occorre fare un passo indietro.
Dall’Unità d’Italia in poi cominciò a farsi strada nella classe politica italiana l’idea dell’espansione imperialista. Uno degli obbiettivi più prevedibili era l’egemonia nello scacchiere mediterraneo e per rendere il Mediterraneo “mare nostrum” occorreva averne il controllo marittimo e navale. Questi concetti rendevano la Francia il principale potenziale avversario navale dell’Italia e gli attriti tra le due nazioni si avvicinavano al limite dello scontro quando la prima guerra mondiale, con la necessità di fare fronte comune contro il rischio dell’egemonia degli Imperi Centrali, raffreddò temporaneamente questi attriti. Terminato vittoriosamente il conflitto, le tensioni ripresero e, successivamente al trattato di Washington del 1920 in cui l’Italia appoggiata dalla Gran Bretagna ottenne la parità di tonnellaggio con la Francia, diedero la spinta ad una strategia di riarmo navale volta interamente alla competizione con la flotta francese. Infatti fino verso il 1936 gli strateghi italiani considerarono come ipotesi bellica più verosimile quella di una guerra contro la Francia, che sarebbe stata combattuta prevalentemente a terra e nella quale gli scontri navali sarebbero state delle prove di forza tra le grandi flotte dei due Paesi.
In quest’ottica di guerra navale classica, oltre a sviluppare le navi da battaglia e gli incrociatori pesanti, la Regia Marina riprese in considerazione l’utilizzo degli esploratori, non ritenendo l’arma aerea sufficientemente affidabile e troppo limitata dalle distanze e dalle condizioni atmosferiche. Pertanto, sempre seguendo l’impulso della competizione con le similari navi francesi (in particolare i grossi cacciatorpediniere delle classi Jaguar e Guépard), diede il via al progetto e alla costruzione da un lato degli incrociatori leggeri della classe Condottieri e dall’altro degli esploratori della classe Navigatori.
Gli obbiettivi del progetto prevedevano prima di tutto una velocità assai elevata, un armamento antinave consistente e una discreta autonomia. A parte la velocità nessuno degli altri obbiettivi fu raggiunto in maniera tale da equivalere le suddette navi francesi, che risultarono più grandi e meglio armate. Il costo risultò comunque non indifferente, soprattutto per le scarse risorse che lo Stato italiano poteva dedicare all’industria bellica: infatti ogni unità, escluso l’armamento e gli altri accessori militari e di servizio, venne a costare circa 21 milioni di lire dell’epoca, pari a circa 17 milioni di Euro attuali (2007).
All’epoca della loro entrata in servizio questi esploratori erano quindi un tipo di nave già obsoleto e le marine da guerra di altre nazioni si stavano già rivolgendo verso tipologie di naviglio più moderne. Tuttavia i Navigatori anche se molto criticati alla loro apparizione e durante gli anni successivi, proprio per le loro caratteristiche di armamento e, nel complesso, di buona tenuta al mare, si rivelarono navi ben indicate per un compito molto diverso dall’originale, ma che diventerà preminente durante la seconda guerra mondiale: la scorta ai convogli per la protezione del traffico marittimo.
Scafo
Lo scafo a chiglia piatta, dalle linee originarie non particolarmente filanti, era costruito in acciaio zincato ad alta resistenza e presentava 186 ossature trasversali rinforzate longitudinalmente da un paramezzale centrale e due laterali. Internamente era suddiviso da paratie stagne trasversali in 21 compartimenti.
Il castello di prora, alto 2,2 m e piuttosto lungo (42,6 m), si estendeva fino a poppavia del primo fumaiolo ed era sovrastato dall’alta tuga a tre piani che conteneva, dal basso verso l’alto, alcuni alloggi e locali di servizio, la centrale di tiro e la plancia di comando con annessa sala nautica. Sul tetto della plancia (cosiddetta “controplancia”) erano sistemati i telemetri per la direzione del tiro. Subito dietro questa imponente tuga vi era un grosso albero a tripode che sosteneva uno dei due proiettori da scoperta (tipo O.G.N. da 90 cm e 150 A delle Officine Galileo) e la coffa per la vedetta. Quest’insieme alto e massiccio unito ai coefficienti di finezza dello scafo piuttosto spinti, era in gran parte responsabile di gravi problemi di stabilità in navigazione, per cui già nel 1930, poco dopo l’entrata in servizio delle prime unità, fu radicalmente ridimensionato abbassando la tuga a due soli piani ed eliminando albero e proiettore prodieri.
Queste misure si rivelarono sostanzialmente sufficienti, ma per migliorarne ulteriormente le qualità nautiche, proprio a cavallo dell’inizio del conflitto dieci delle dodici unità (esclusi Da Recco e Usodimare per le quali non ve ne fu il tempo a causa degli eventi bellici) vennero sottoposte ad ulteriori modifiche (allargamento dello scafo, innalzamento e modifica della prua con una più slanciata, di tipo “oceanico”) che ne ottimizzarono la stabilità, a scapito però della velocità che scese drasticamente intorno ai 28 nodi.
Altre due piccole tughe erano poste a centro nave a proravia del secondo fumaiolo e a poppa. Entrambe servivano da base per i complessi binati dei cannoni, erano collegate tra di loro e con il ponte di castello da due passerelle e contenevano locali di servizio. Il Da Recco, essendo originariamente previsto come nave ammiraglia del gruppo esploratori, aveva una tuga poppiera più ampia che conteneva l’alloggio ammiraglio e i relativi servizi.
Sul ponte di coperta erano sistemate le imbarcazioni di servizio e di salvataggio. Ai lati del secondo fumaiolo trovavano posto a dritta un motoscafo da 7 m e una baleniera e a sinistra una motolancia e una lancia a remi da 8,5 m. A proravia del paraonde sul castello si trovava uno zatterino da 3,5 m. Nel periodo bellico le dotazioni di salvataggio furono integrate da sette zattere tipo “Carley” di varie misure, capaci di accogliere da 13 a 39 naufraghi, fissate ai lati dei fumaioli e sulla copertura scudata dei complessi binati da 120/50 (e quindi molto esposti a danni da battaglia). Nella migliore delle ipotesi queste zattere in totale potevano accogliere da 157 a 178 persone, molto meno dell’equipaggio effettivo e degli eventuali trasportati, che si sarebbero quindi dovuti affidare ai giubbotti salvagente.
All’ingresso in servizio tutte le unità avevano la colorazione classica in grigio chiaro che fu mantenuta fino al novembre 1941. In quella data infatti la Regia Marina iniziò la sperimentazione di colorazioni mimetiche ideate dal pittore Rudolf Claudus. La prima unità a ricevere la colorazione sperimentale fu lo Zeno che la mantenne per circa un anno per poi uniformarsi allo schema ufficiale definitivo a tre toni (grigio scuro, grigio chiaro e bianco sporco), che fu applicato su quasi tutte le altre unità. Non ricevettero mai la colorazione mimetica il Da Mosto (sebbene fosse già previsto lo schema mimetico, l’unità venne affondata prima di poterlo realizzare), il Pessagno e il Tarigo che mantennero quindi la livrea grigio chiaro fino all’affondamento. Dopo i primi mesi di guerra, per migliorare l’identificazione da parte degli aerei amici (durante la scontro di Punta Stilo alcune unità vennero bombardate per errore da aerei italiani), la zona prodiera del ponte di castello venne pitturata a strisce diagonali bianche e rosse.
Armamento e sistemi di difesa
La direzione del tiro poteva contare per il tiro diurno su due telemetri stereoscopici Officine Galileo/Zeiss da 3 m in torretta sulla controplancia; nella stessa torretta era contenuto anche l’apparecchio di punteria generale San Giorgio. Un terzo telemetro Zeiss/San Giorgio da 3 m era posizionato sulla tuga di centro nave e fu poi sostituito durante la guerra con le nuove mitragliere antiaeree da 20 mm. I sistemi per il tiro notturno furono invece imbarcati solo su alcune unità a conflitto già avanzato. Dopo il 1937 gli apparati di puntamento vennero completati da un teleinclinometro cinematico San Giorgio, posizionato sotto la coffa.
L’armamento antiaereo era inizialmente basato sulle due mitragliere Vickers-Terni 1915 da 40/39 posizionate una per lato sul castello di prora di fianco al primo fumaiolo e su quattro mitragliatrici Breda da 13,2 mm in due impianti binati posizionati ai lati della controplancia. Durante la seconda guerra mondiale, vista la frequenza degli attacchi aerei, questo armamento venne potenziato sostituendo anche le mitragliere più obsolete con altre più moderne ed efficaci (Breda 20/65 o Oerlikon 20/70). Le modifiche furono diverse sulle diverse unità alle quali si rimanda per i dettagli. Il sistema di puntamento era di tipo diretto.
L’armamento subacqueo era originariamente costituito da due complessi trinati lanciasiluri in linea da 533 mm, tipo San Giorgio, posti uno tra i due fumaioli e il secondo a poppavia del secondo fumaiolo. La punteria era comandata elettricamente dalla Direzione Tiro fornita di due stazioni: una per il lancio diurno in coffa e una per il lancio notturno in plancia. Nel periodo prebellico, nell’ambito delle modifiche per migliorare la stabilità, i lanciasiluri furono sostituiti con complessi binati, più leggeri. Ma durante il conflitto sette unità vennero nuovamente attrezzate con gli impianti trinati (con sistemazione però a “piramide”, tranne Da Recco e Pigafetta che ebbero impianti in linea), mentre le unità ancora superstiti dopo la metà del 1942 sbarcarono il complesso poppiero sostituendolo con due mitragliere antiaeree Breda 37/54.
Nel progetto originale l’armamento antisommergibile prevedeva solo una “torpedine da rimorchio” tipo Ginocchio (GP1927/46 T), eliminata nel corso dei primi anni di guerra, e fu solo alla fine degli anni trenta che vennero invece installate a poppa due tramogge per il lancio di bombe torpedini da getto da 50 e 100 kg. Dopo il 1941, visto l’utilizzo principale di queste unità come scorta ai convogli, le dotazioni di bombe antisommergibile vennero potenziate con ordigni più moderni anche di fabbricazione tedesca (WB D da 125 kg e WB F da 60 kg) e con bombe “intimidatorie” da 30 kg.
Per la posa mine tutte le unità tranne il Da Recco erano provviste di ferroguide e potevano imbarcare 54 mine tipo Vickers-Elia da 760 kg o 56 tipo Bollo da 590 kg. Durante il conflitto su sette unità vennero allungate le guide per consentire l’imbarco fino a un massimo di 86 mine tipo P.200 o di 104 tipo Bollo, nonché di mine tedesche ad antenna.
Per il dragaggio protettivo nel 1940 furono montati a poppa su tutte le unità i paramine tipo C per il dragaggio in corsa. Ma la forte riduzione di manovrabilità che conseguiva all’uso di questi dispositivi li rese di fatto inutilizzabili su navi con le caratteristiche dei Navigatori e furono quindi definitivamente sbarcati nel 1942.
Tutte le unità infine erano munite di apparati fumogeni tipo R.M. alla base dei fumaioli e di impianti nebbiogeni a nafta situati a poppa sul lato di dritta che, successivamente, vennero sostituiti con impianti più efficienti a cloridrina.
Nel corso del conflitto su alcune unità (Da Noli, Da Recco, Da Verazzano, Malocello, Pancaldo, Vivaldi e Zeno) venne montato l’ecogoniometro per la caccia ai sommergibili e su alcune altre il radar (il radar Fu.Mo. 24 “De.Te.” di fabbricazione tedesca sul Malocello e il radar EC3/ter “Gufo” di fabbricazione italiana su Pancaldo, Da Noli e Vivaldi).
Fonti Wikipedia
2.20
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