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❌🙁Bronzo di ASCARI Sciumbasci eritreo della PAI – disegno di P.C.Dominioni

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Figura in bronzo di uno sciumbasci eritreo della PAI Polizia dell’Africa italiana, opera dello scultore Mario Montemurro , su disegno di Paolo Caccia Dominioni ( PCD ) .  Il bronzo in questione è alto circa cm.43 compresa la base in legno, ed è in ottime condizioni, con una bellissima patina del tempo.

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Description

Figura in bronzo a cera persa raffigurante un ascari sciumbasci eritreo della PAI , Polizia dell’Africa italiana durante il ventennio fascista, opera commemorativa ( degli anni ’40 ) realizzata dallo scultore Mario Montemurro ,  su disegno di Paolo Caccia Dominioni ( PCD ) , ufficiale del Genio del Regio Esercito, che tanto ha prodotto con disegni , testi sulla sua storia di militare, dalla prima guerra mondiale fino ai giorni del colonialismo imperiale ed oltre. Amico di Hugo Pratt, il noto ideatore e disegnatore di Corto Maltese. Il bronzo di questo ascari del corpo della PAI, costituitosi durante l’occupazione dell’Africa italiana e fascista, è alto circa cm.43 compresa la base in legno, ed è in ottime condizioni, con una bellissima patina del tempo. Reca alla base in bronzo , la firma dell’autore Montemurro, incisa al momento della fusione del pezzo. Tra le opere realizzate dall’artista segnaliamo la statua di Enrico Toti situata a Gorizia .

 

NOTIZIE

Immagine correlataSomigliante all’ascari della PAI , Africa fascista, raffigurato dal bronzo

L’àscari (in arabo: عسكري‎, ʿaskarī, “soldato”), era un militare eritreo dell’Africa Orientale Italiana, inquadrato come componente regolare nei Regi Corpi Truppe Coloniali, le forze coloniali italiane in Africa.

Il corpo militare trae origine da un folto gruppo di mercenari, l’Armata Hassan più nota col nome turco di Basci Buzuk (“teste matte”). Questa banda armata era stata fondata in Eritrea da Sangiak Hassan, un avventuriero albanese che intendeva mettersi al servizio dei signorotti locali. Nel 1885 il colonnello Tancredi Saletta, capo del primo Corpo di spedizione italiana in Africa Orientale, comprò i Basci Buzuk, armi, mogli e figli compresi. Vennero inquadrati come regolari nel 1887 dal generale Antonio Baldissera, alle dipendenze del ministero delle Colonie. Gli indigeni componevano la sola bassa forza, i quadri erano italiani. Nel 1889, con la costituzione dei primi 4 battaglioni eritrei, i basci-buzuk furono ribattezzati con l’appellativo di “ascari”.

Gli ascari erano reclutati all’origine in Eritrea e Arabia del sud. Poi vennero reclutati in tutte le colonie africane italiane, tra i somali, gli etiopi e i berberi. Per essere arruolati bisognava superare una prova di marcia di circa 60 km. La loro disciplina era molto rigida, specie se impartita dai propri graduati detti Sciumbasci i quali largheggiavano nell’uso del “curbasc”, uno scudiscio in pelle d’ippopotamo usato per le punizioni corporali. Pur essendo truppe regolari, per tradizione potevano portare le loro famiglie al seguito, che convivevano con le truppe negli accampamenti.

Erano organizzati “battaglioni indigeni”, inizialmente su quattro compagnie; ogni compagnia era divisa in due mezze-compagnie (ognuna agli ordini di uno sciumbasci; la mezza compagnia poteva avere da uno a quattro buluc (agli ordini di un bulucbasci). Quando venne ufficialmente costituita, nel 1908, la colonia della Somalia italiana con il proprio RCTC, per distinguere i “battaglioni indigeni” dei due corpi, essi assumevano rispettivamente la denominazione di “Battaglione indigeni eritrei” (o “Battaglione eritreo”) e di “Battaglione arabo-somalo”. Quando infine, dopo la conquista dell’Etiopia, venne proclamato l’Impero, tutti i battaglioni assunsero la denominazione di “Battaglione coloniale”. In Libia a partire dal 1937, anno dell’annessione della colonia al territorio metropolitano italiano e della relativa estensione della cittadinanza a tutti i libici, la denominazione usata per i reparti di fanteria diventò “Battaglione fanteria libico”. Dapprima fanteria leggera, dal 1922 ebbero unità con autoblindo e reparti cammellati, i meharisti. Anche in Libia furono costituiti reparti di ascari che però, durante la repressione della rivolta senussita (1923-1931), furono sciolti a causa dei frequenti episodi di ribellione.

Il soldo degli ascari all’epoca della Battaglia di Adua (1896) era pari ad una lira e mezza al giorno. L’Eritrea fornì il più elevato numero di ascari, che finirono col diventare il maggiore “prodotto” della colonia: nel 1935 era impegnato militarmente il 40% della popolazione maschile maggiorenne.

ascari pai africa fascista Ascari , non PAI, Africa fascista, disegno P.C. Dominioni

Uniformi

L’uniforme degli ascari eritrei, dalla fondazione agli anni venti, era composta dal tarbush in feltro con fiocco e fregio a seconda della specialità e ripetizione dei gradi; da un camicione bianco lungo fino al ginocchio; da un giubbetto a mezzavita in tela; pantaloni (“senafilò”) stretti, al ginocchio; gambali in tela grezza chiusi lateralmente da 9 bottoncini; fascia distintiva (“etagà”) di lana colorata, lunga 2,5 metri e larga 40 cm. Il colore della fascia, ripreso anche sul fiocco del tarbusc, identificava i reparti: era rossa nel I Battaglione, azzurra nel II, cremisi nel III, nera nel IV, scozzese per il V, verde per il VI, bianco per il VII e giallo per l’VIII Battaglione. Con l’aumento dei reparti aumentarono le combinazioni di colori, a strisce verticali, orizzontali e, per gli squadroni cavalleria indigeni, scozzesi; per questi ultimi la fascia decorava anche il tarbusc, insieme ad una penna di falco. Gli stessi colori erano ripresi sulla filettatura delle controspalline degli ufficiali nazionali che guidavano i reparti. I gradi degli ascari , anche della PAI , assegnati dal ministero della guerra e dell’Africa fascista, erano :

Gradi delle truppe coloniali
Flag of Italy (1860).svg
Regi corpi truppe coloniali
Flag of Italy (1860).svg
Regio Esercito
Sottufficiali
Sciumbasci capoMaresciallo aiutante
SciumbasciMaresciallo ordinario
Truppa
Bulucbasci capoSergente maggiore
BulucbasciSergente
MuntazCaporale
UachilNessun corrispondente
ÀscariSoldato

Dagli anni venti l’uniforme subì un’evoluzione simile a quella coloniale di nazionali, in tela bianca o cachi, fermo restando il sistema delle fasce distintive. Le fasce mollettiere o i gambali erano spesso indossati sui piedi nudi: infatti, nel rispetto della tradizione, le calzature erano facoltative. Quando presenti potevano essere costituite sia da sandali che da scarponi o stivali d’ordinanza.

Mentre per gli ascari dell’Africa Orientale (Eritrea, Somalia ed AOI) il copricapo d’ordinanza era il tarbusc o, per i battaglioni musulmani (invece che copti), il turbante con una fascetta del colore di battaglione, gli ascari libici indossavano il fez (o meglio “tachia”) di feltro rosso granata con fiocco azzurro e “sotto-tachia” bianca. I gradi ed i distintivi erano portati su un triangolo di panno nero sulla spalla e sul tarbusc (tarbush). Solo il personale nazionale indossava le stellette, in quanto segno distintivo della condizione militare del cittadino italiano. Dal 1939, poiché la colonia libica era diventata a tutti gli effetti territorio nazionale (come provincia di Tripoli e di Bengasi) gli ascari libici si fregiarono anch’essi delle stellette.

Polizia dell’Africa Italiana

Ascari PAI – Polizia dell’AOI Africa Orientale Italiana, ventennio fascista

 

La Polizia dell’Africa Italiana , PAI, fu costituita nel 1937 come forza di polizia coloniale per il nuovo Impero italiano, con un Ispettorato generale a Tripoli ed uno ad Addis Abeba. Il personale, sia in Libia che in Africa Orientale Italiana, era arruolato sia tra i nazionali che tra gli indigeni, che si batterono coraggiosamente durante la seconda guerra mondiale. L’equipaggiamento era costituito dal moschetto Carcano Mod. 91, dalla pistola semiautomatica Beretta Mod. 34 e dal billao PAI. L’uniforme degli ascari di Polizia, estiva bianca ed invernale cachi, si distingueva per la fascia distintivo ed il fiocco di tachia e tarbusc blu Savoia; per il colletto dell’uniforme dello stesso colore, sul quale, in luogo dei fascetti littori del personale nazionale, gli ascari della PAI operativa nell’Africa fascista, portavano ricamati dei nodi savoia dorati; anche il triangolo di supporto ai gradi era blu Savoia e portava anche lo scudetto di specialità (Squadrone Vicereale, Bande di Polizia, Polizia Portuaria, Stradale, Corpo Musicale); sulla tachia libica e sul tarbusc dell’AOI portavano la coccarda tricolore con il fregio della PAI (aquila coronata con scudo savoia sul petto e nodo savoia tra gli artigli) e, per i reparti a cavallo, la penna di falco. Lo stesso fregio era riportato su panno azzurro sul turbante dei reparti somali cammellati. L’uniforme dei “Lancieri Azzurri” dello Squadrone Vicereale era caratterizzata da tarbusc blu savoia con penna nera, fasciato da un turbante di seta blu anch’essa. Blu anche le manopole e la farmula.

Ascari libici della PAI Africa fascista

 

 

 

Lo sciumbasci (o scium-basci o sciumbascì) (dal tigrino “investito del potere”) era un grado militare delle Truppe coloniali italiane, equivalente al grado di maresciallo del Regio Esercito.  Era il più alto grado raggiungibile dagli ascari eritrei, libici, somali e abissini del Regio Esercito ed era posto sotto il tenente (grado precluso alle truppe coloniali) e sopra il bulucbasci.

Nel 1936 venne anche creato il grado di sciumbasci capo, equivalente a luogotenente o aiutante. Nel Regio Corpo Truppe Coloniali della Somalia e tra gli Zaptié libici lo sciumbasci capo era anche chiamato jusbasci.

Lo sciumbasci veniva assegnato ad ogni mezza-compagnia coloniale o buluc ed era addestrato per poterla comandare come fosse un ufficiale, in caso di necessità. Inoltre requisito essenziale per essere ammesso al grado di sciumbasci era la conoscenza della lingua italiana. Presiedeva alle funzioni di fureria del suo reparto, ossia alle distribuzioni, ai prelevamenti, ai turni, ai servizi, inoltre aveva incarico di occuparsi dell’istruzione delle reclute, dell’igiene, della pulizia e dell’ordine della truppa. Svolgeva anche la mansione d’interprete fra gli ufficiali italiani e la truppa coloniale, qualora questa non parlasse la lingua, ed era considerato il primo cooperatore degli ufficiali.

In quanto sottufficiale, lo sciumbasci poteva essere armato anche di pistola e di sciabola, oltre che dell’armamento d’ordinanza. Al contrario, lo sciumbasci non usava la baionetta sul proprio fucile d’ordinanza. Inoltre lo sciumbasci poteva portare i gambali in pelle o le fasce mollettiere, riservate alla truppa, anche se sovente sia gli uni che le altre erano indossate sui piedi scalzi, secondo l’uso coloniale. L’uso degli stivaletti di cuoio era infatti facoltativo. Allo sciumbasci era consentito indossare anche fuori servizio una mantellina nera (di propria proprietà).

Lo sciumbasci portava come simbolo d’autorità il curbasc, un frustino di pelle d’ippopotamo, col quale applicava anche le sanzioni amministrative fisiche alla truppa.

Distintivo e contrassegni d’anzianità

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Truppe coloniali italiane: in primo piano uno sciumbasci capo di un reparto fucilieri. Le stellette sul suo grado indicano l’anzianità.
Il distintivo di grado dello sciumbasci consisteva da tre galloni di tessuto di lana rossa, fatti ad angolo, uno sotto l’altro, con la punta rivolta verso la spalla, soppannati di panno nero a triangolo; per lo sciumbasci capo si aggiungeva superiormente un quarto gallone giallo. Inoltre lo sciumbasci porta sul tarbush tre stellette disposte a triangolo equilatero, con la base parallela all’orlo inferiore del tarbush.

Lo sciumbasci degli zaptié in grande uniforme indossava penne di struzzo bianche sul copricapo.

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Paolo Caccia Dominioni (Nerviano, 14 maggio 1896 – Roma, 12 agosto 1992) è stato un militare, scrittore, ingegnere e disegnatore italiano. Di nobile famiglia lombarda, visse la sua adolescenza al seguito del padre diplomatico in Francia, in Austria-Ungheria, in Tunisia ed in Egitto; tornato in Italia nel 1913, si iscrisse al Regio Istituto Tecnico Superiore (futuro Politecnico di Milano) frequentando il primo anno della facoltà di Ingegneria.

Nella prima guerra mondiale

Trasferitosi a Palermo, allo scoppio della Prima guerra mondiale si arruolò immediatamente volontario nel Regio Esercito. Dopo un primo periodo, come soldato semplice in forza al 10º bersaglieri nella sede di Palermo, frequentò il corso ufficiali a Torino dal novembre 1915 al marzo 1916. Venne quindi assegnato al Genio Pontieri, dove, divenuto tenente, nel maggio del 1917 si guadagnò una medaglia di bronzo al valore militare, per il forzamento dell’Isonzo nei pressi di Canale d’Isonzo durante il quale riportò una ferita non grave.

Dietro sua richiesta venne trasferito ad una sezione lanciafiamme, di cui disegnò lo stemma di specialità, operante in prima linea sul Carso nell’agosto 1917, dove riportò una seconda ferita alla mano. Dopo la ritirata di Caporetto dell’ottobre-novembre 1917, Caccia Dominioni fu trasferito in seconda linea nella valle del Brenta dove fu raggiunto dalla notizia della morte in combattimento del fratello Francesco Nicolò detto Cino, sottotenente del 5º alpini, il 29 gennaio 1918.

Trasferito in Libia a motivo del lutto nell’aprile 1918, venne adibito a servizi di guarnigione nei dintorni di Tripoli, dove lo sorprese l’annuncio della Vittoria (4 novembre 1918). Ammalatosi di influenza spagnola, ebbe il rimpatrio nel maggio 1919 e fu congedato l’anno seguente.

 

Tra le due guerre

Terminati gli studi, dopo un iniziale avvicinamento al Fascismo, se ne distaccò trasferendosi in Egitto nel 1924, dove avviò la propria attività professionale aprendo uno studio al Cairo, progettando importanti edifici in tutto il Medio Oriente. Richiamato una prima volta nel 1931, prese parte ad una spedizione (di carattere esplorativo, fino a Tummo) operante nell’estremo sud del deserto libico, il che gli valse il grado di capitano. Insieme ad altri europei che vivevano in Egitto, nel 1933 organizzò un raid di circa settecentoottanta kilometri verso l’oasi di Siwa. Partiti il 14 maggio, “dodici amici, in questo maggio già torrido, su quattro Ford attrezzate per la sabbia” con l’obbiettivo di “compiere il viaggio in cinquanta ore, comprese le soste di riposo”, i sette uomini e cinque donne passeranno per i luoghi dove nel 1942 arriverà la seconda guerra mondiale: Marsa Matruh, el Daba, Fuka ed El Alamein. Tra questi, altri futuri protagonisti della guerra che militarono sui fronti opposti, come Debeney e Vladimir Peniakoff, che militerà nelle file del Long Range Desert Group britannico e fonderà una sua unità speciale nota come Popski’s Private Army incrociando la strada di Dominioni durante una incursione a Derna il 6 agosto 1942.

Richiamato ancora in servizio per la guerra d’Etiopia nel 1935, venne dapprima impiegato in una missione di intelligence in Sudan, poi in una pattuglia esplorante aggregata alla Colonna Starace nella marcia su Gondar, partecipazione che gli fruttò la Croce di Guerra al Valor militare.

Nella seconda guerra mondiale

Agli inizi del 1940, mentre stava dirigendo i lavori per la costruzione dell’Ambasciata d’Italia ad Ankara, venne richiamato in servizio per la quarta volta e assegnato per quattro mesi allo Stato Maggiore di Umberto II attestato alla frontiera francese. Gli venne infine consentito di terminare i lavori in Turchia fino all’agosto di quell’anno finché il richiamo definitivo alle armi avvenne nel gennaio 1941; destinazione d’impiego il Servizio Informazioni Militare. Insoddisfatto di questa collocazione di retrovia, ottenne di essere assegnato alla neocostituita specialità del Genio guastatori alpino; destinato in un primo momento in Russia, nel luglio 1942 gli fu affidato il comando del 31º Battaglione Guastatori d’Africa del Genio, impiegato durante tutta la campagna del Nord Africa.

Durante l’offensiva della prima battaglia di El Alamein, alla quale partecipò con una compagnia esplorante dei suoi guastatori aggregata al XX Corpo d’Armata, Caccia Dominioni venne decorato dal generale Erwin Rommel con la Croce di Ferro di 2ª classe tedesca, seguita da un encomio solenne. A causa della distruzione del reparto gemello del 31º, il 32º BattaglioneGuastatori d’Africa, i sedici superstiti vennero aggregati al 31º come ottava compagnia e ne seguiranno le vicende agli ordini di Dominioni.

Partecipò poi anche alla seconda battaglia di El Alamein nel novembre 1942, con il suo 31° che era stato assegnato di rinforzo alla 185ª Divisione paracadutisti “Folgore” nello schieramento del XXI Corpo d’Armata, riuscendo a sfuggire all’accerchiamento; nello sganciamento il battaglione era stato reso parte di un reggimento di formazione insieme al 24º battaglione artieri e alla 15^ compagnia artieri d’arresto, con Dominioni comandante per anzianità di grado; iniziata la ritirata il 3 novembre con ordine di deviare verso l’interno per non ostacolare i movimenti sulla litoranea, Dominioni si organizza su un suo itinerario;dopo aver perso contatto con gli altri reparti il 31° alle 14 del 5 novembre si trova a Khor el Bayat di fronte un blocco britannico formato da tre carri armati e da dietro un gruppo di quattordici autoblinde; gettandosi in una depressione a sud con quelli che credeva tutti i suoi autocarri, riuscirà a forzare il blocco con metà del battaglione ed altri sei veicoli che si erano accodati; raggiunta la litoranea, riporta i suoi duecentocinquanta uomini verso Marsa Matruh per contribuire ad una azione di blocco contro l’Ottava Armata. Il suo battaglione fu l’unico reparto organico superstite del X Corpo d’armata italiano; per tale risultato il maggiore Paolo Caccia Dominioni di Sillavengo venne decorato della Medaglia d’argento al valor militare. Nel suo libro “Alamein 1933-1962” si trova una ricostruzione molto completa della battaglia, ed in effetti anche del periodo antecedente dalla conquista di Tobruk fino all’arrivo delle truppe italo-tedesche in territorio egiziano. Questa ricostruzione si basa su mappe originali di Rommel, su diari di vari militari impegnati sui due lati del fronte e su incontri avvenuti tra l’autore ed altri partecipanti. Dopo un periodo di convalescenza, nel maggio 1943 si fece promotore della ricostituzione del Battaglione Genio guastatori alpini ad Asiago, e ne assunse il comando fino all’8 settembre 1943. Sfuggito alla cattura tedesca, si diede alla macchia entrando nel gennaio 1944 a far parte della 106ª brigata partigiana Garibaldi.

Nella Resistenza, dopo varie vicissitudini, arrivò alla carica di Capo di Stato Maggiore del Corpo lombardo Volontari della Libertà nell’aprile 1945. Per la partecipazione alla lotta partigiana ebbe la Medaglia di Bronzo al Valor Militare.

 

      disegni di P.C. Dominioni

Nel dopoguerra

Dopo la fine della guerra riprese la sua attività nello studio di ingegneria del Cairo, e nel 1948 venne incaricato dal governo italiano di redigere una relazione sullo stato del cimitero di guerra italiano di Quota 33 ad El Alamein, a cui seguì presto l’incarico di risistemazione. Ebbe inizio così una missione di recupero che durò circa quattordici anni, spesi in gran parte nel deserto, alla ricerca delle salme dei caduti di ogni nazione, culminante con la costruzione del sacrario italiano da lui progettato.

Conosciuta nel 1953 la moglie Elena Sciolette, Paolo Caccia Dominioni tornò in Italia nel 1958, lasciando le redini della missione a Renato Chiodini pur continuando la supervisione del sacrario di Quota 33 con frequenti visite in Egitto. Dal 1962 in poi, anche in seguito alla pubblicazione del libro Alamein 1933-1962 che vinse il Premio Bancarella, Paolo Caccia Dominioni svolse un’intensa attività progettistica di sacrari e cappelle commemorative dei caduti italiani della Seconda guerra mondiale, unita ad una fertile attività letteraria e illustrativa attorno alle proprie vaste esperienze belliche, che gli fruttò diversi premi e riconoscimenti (tra i quali il San Valentino d’oro della Città di Terni).

È da segnalare che Paolo Caccia Dominioni, che parlava correntemente tedesco, francese, inglese, arabo, continuò la sua attività di progettista e scrittore anche in tarda età fino alla morte, sopraggiunta all’ospedale militare del Celio all’età di 96 anni nel 1992.

 

     1958 bronzo realizzato da Mario Montemurro , Gorizia, Piazza C. Battisti

 

Fonti Wikipedia

 

9.19

Additional information

Weight3 kg
Dimensions50 × 35 × 35 cm

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