Description
Notevole scultura in bronzo raffigurante Cesare Battisti , in uniforme da Alpino del Regio Esercito, martire per la causa irredentista italiana della Prima Guerra Mondiale. Bronzo a tutto tondo, realizzato e firmato da Oreste Labò (Piacenza, 1865 – Milano, 1929), con una dedica indirizzata allo stesso Battisti, preceduta dal titolo ALL’ON.LE (all’onorevole), in quanto lo stesso Battisti essendo cittadino austroungarico di nascita, direttore di giornali socialisti nella città natale, fu deputato al Parlamento di Vienna dove si batté per ottenere l’autonomia amministrativa del Trentino e la costruzione di un’università italiana. Allo scoppio della grande guerra, arruolatosi volontario negli Alpini, combatté per la parte italiana. Catturato da una truppa da montagna dell’esercito austroungarico, fu processato e impiccato per alto tradimento in quanto membro della Camera dei deputati d’Austria. Insieme con Guglielmo Oberdan, Damiano Chiesa, Fabio Filzi, Francesco Rismondo e Nazario Sauro è considerato tra le più importanti figure della causa dell’irredentismo italiano ed eroe nazionale.
Il pregevole bronzo, opera originale realizzata nel 1916 dallo scultore piacentino, mostra l’irredentista Cesare Battisti in completo regolamentare da Alpino, con giacca a salsicciotti, spallacci e giberne alla vita, berretto all’alpina con occhiali da montagna. Volto somigliante che ritrae il martire in baffi e pizzetto, la statua misura circa 48 cm in altezza, in perfette condizioni, con la sua bella patina donatagli dal tempo trascorso.
Cesare BATTISTI, l’irredentista, in uniforme da Alpino
MISURE : altezza totale cm.48
FIRMA : Labò Oreste
NOTIZIE
Giuseppe Cesare Battisti nacque a Trento il 4 febbraio 1875 , quando questa era ancora parte dell’Impero austro-ungarico da Cesare, commerciante, e dalla nobildonna Maria Teresa Fogolari. Era l’ultimo di otto fratelli.
Dopo aver frequentato l’Imperial Regio Ginnasio a Trento, l’attuale Liceo Classico Giovanni Prati, per assecondare la madre si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza di Graz, dove si lega a un gruppo di studenti (tra cui il socialista roveretano Antonio Piscel, amico per molti anni a venire), con i quali fonda nel 1894 un’associazione di stampo socialista, la «Società degli studenti trentini»; contemporaneamente si iscrive all’Istituto di Studi Superiori di Firenze dove frequenta il primo anno alla facoltà di Lettere e Filosofia per poi proseguire gli studi umanistici a Torino, città in cui il fermento socialista stava muovendo i primi passi. Tra i protagonisti di questa stagione socialista torinese figura anche Edmondo De Amicis, militante sin dal 1890. Nel maggio del 1895 Battisti è a Graz ma viene processato per contravvenzione alla legge sulle Associazioni. Chiusa definitivamente la parentesi austriaca, torna a Firenze per frequentare il terzo anno all’Università. Nello stesso periodo conosce Ernesta Bittanti (Brescia, 1871 – Trento, 1957), sua futura moglie, e lo storico e meridionalista Gaetano Salvemini. Nel 1895 fonda assieme ad Antonio Piscel la Rivista popolare trentina, sequestrata già dopo il primo numero. Nello stesso anno, con la collaborazione dell’amico e tipografo friulano Antonio Gerin, Battisti e Piscel pubblicano il primo giornale socialista trentino, L’Avvenire, che a causa di difficoltà finanziarie cessò di essere pubblicato l’anno successivo. Pochi mesi dopo, superati i problemi economici, esce il nuovo settimanale L’avvenire del lavoratore, anch’esso fortemente minato dalla censura. Grazie all’incontro con l’illustre geografo friulano Giovanni Marinelli, ai tempi professore nell’ateneo fiorentino, si appassiona alla geografia. Si laurea a pieni voti nel 1897 con una tesi intitolata Contributo alla geografia fisica e all’antropogeografia del Trentino che verrà pubblicata l’anno seguente dall’editore Zippel di Trento con il titolo Il Trentino. Saggio di geografia fisica e di antropogeografia.
Seguendo le orme dello zio materno, don Luigi Fogolari (condannato a morte dall’Austria per cospirazione e poi graziato), abbraccia presto gli ideali patriottici dell’irredentismo. Successivamente agli studi universitari, si occupa di studi geografici e naturalistici: nel 1898 è infatti segretario del terzo Congresso geografico italiano tenutosi a Firenze. Nello stesso anno conosce il geologo Giovan Battista Trener e assieme a lui fonda la rivista scientifica Tridentum. Pubblica inoltre alcune apprezzate Guide di Trento e di altri centri della regione e l’importante volume Il Trentino.
Battisti abbandona ben presto l’idea di intraprendere la professione di insegnante a causa delle difficoltà per il riconoscimento delle lauree italiane in Austria; inoltre si stava diffondendo un sentimento di pangermanismo che rendeva difficile ottenere le cattedre italiane istituite presso l’Università di Innsbruck. Battisti decide così di rilevare una vecchia e piccola tipografia trentina, la Küpper-Fronza, che divenne nel 1901 la Società Tipografica Editrice Trentina (STET). Nel 1900 fonda il giornale socialista Il Popolo e quindi il settimanale illustrato Vita Trentina, entrambi stampati presso la nuova attività assieme a molte altre opere geografiche e sociologiche. Alla redazione de Il Popolo Battisti volle con sé Lajos Domokos, giovane socialista triestino, già caporedattore de Il Lavoratore di Trieste.
Desiderando combattere per la causa trentina con la politica e farla valere dall’interno, nel 1911 si fa eleggere deputato al Reichsrat, il parlamento di Vienna, per il Collegio di Trento città («Tirolo 6»). Nel 1914 entra anche nella Dieta di Innsbruck, l’ultima tappa della sua attività in Austria. Si sposa con Ernesta Bittanti e ha tre figli: Luigi (1901-1946), Livia (1907-1978) e Camillo (1910-1982).
Il trasferimento in Italia
L’8 agosto 1914 Battisti, affiancato da Guido Larcher e Giovanni Pedrotti, fece pervenire al re Vittorio Emanuele III un appello nel quale il monarca veniva esortato a unire il Trentino al Regno, tentando prima coi mezzi diplomatici e, nel caso non fossero stati sufficienti, ricorrendo alle armi. Nel settembre 1914 Battisti, Larcher e Pedrotti, costituiscono a Milano la “Commissione dell’emigrazione trentina”, composta da un migliaio di affiliati.
L’11 agosto 1914, appena due settimane dopo lo scoppio della guerra austro-serba, il deputato Battisti abbandona il territorio austriaco e si trasferisce in Italia. Qualche giorno dopo lo seguirà anche la moglie con i loro tre figli. Il fratello Giuliano, che era nato il 30 luglio 1868, rimane invece a Trento. Verrà poi richiamato alle armi, inviato in una compagnia di disciplina e successivamente, essendosi ammalato, al domicilio coatto. Morirà prematuramente il 3 dicembre 1921 a seguito dei patimenti di quegli anni. Battisti diventa subito un propagandista attivo per l’intervento italiano contro l’Impero austro-ungarico, tenendo comizi nelle maggiori città italiane e pubblicando articoli interventisti su giornali e riviste. Tra le città in cui soggiornò vi è anche Treviglio dove risiedette in via Sangalli al numero 15.
Non fece mai parte della massoneria ma riconobbe a essa un ruolo negli accadimenti: «… molto, moltissimo devesi alla Massoneria se la causa di Trento e Trieste ha ancora fautori in Italia e se l’irredentismo si è gagliardamente ridestato e, malgrado le opposizioni neutraliste, affermato.»
La cattura
Negli scontri con i Landesschützen austriaci, molti alpini caddero o furono fatti prigionieri. Tra questi ultimi vi furono lo stesso tenente Battisti e il sottotenente Filzi che, dopo essere stati riconosciuti, furono tradotti e incarcerati a Trento.
Secondo alcune fonti a riconoscere l’irredentista trentino fu Bruno Franceschini, originario della Val di Non e residente a Rovereto, tuttavia gli atti del processo ricostruirono una versione assai diversa. A prendersi il merito della cattura furono il tenente Vinzenz Braun con i bersaglieri Alois Wohlmuth e Franz Strazligg. Bruno Franceschini comparve solo nella testimonianza di Johann Widegger come chi materialmente riconobbe Fabio Filzi che aveva fornito generalità false.
Negli atti Franceschini è indicato come Fähnrich (allievo ufficiale) e non come Oberleutnant (tenente), qualifica che otterrà solo più avanti. Secondo un’altra versione il cadetto Franceschini, quando venne fatto prigioniero Battisti, era l’unico ufficiale in servizio che parlasse la lingua italiana, e il suo ruolo in tutta la vicenda si limitò al suo riconoscimento ufficiale. A denunciare l’irredentista sarebbero stati i suoi stessi soldati, e non Franceschini, accusato quindi ingiustamente mentre stava solo svolgendo il suo dovere come militare al servizio dell’Austria.
Secondo una versione del generale Maximilian Ronge, capo dell’Evidenzbureau, la notizia della cattura scaturì interesse e approvazione nella gente accorsa a Trento per assistere all’arrivo dei prigionieri, a tal punto che la polizia e i militari presenti furono costretti a contenere la folla, per evitare che il Battisti e il Filzi venissero avvicinati.
“Gli organi di stampa austriaci lo descrissero come «bancarottiere» (poiché era già soggetto a un mandato di cattura per fallimento colposo), «truffatore», «vigliacco», «disertore», «traditore dei suoi e dai suoi tradito». Il processo, secondo alcune fonti, fu istruito senza garanzie per l’imputato e senza una difesa di fiducia, ed inoltre contrassegnato da grossolani errori procedurali”.
Tutta questa operazione aveva fini precisi per l’autorità asburgica perché Battisti era ancora deputato austriaco: “Una volta catturato, Battisti entrerà come attore in un apparato scenico in cui l’azione collettiva si sposa ad un’abile regia governativa”, Battisti dovette subire moltissimi insulti e umiliazioni dai suoi carcerieri. In via Borgonovo la folla, composta in maggioranza da militari e funzionari austriaci, incominciò a fischiare, a schiamazzare e a ingiuriare i prigionieri: ingiurie come Hund (cane), Schuft (briccone), Canaille (canaglia)”. Gli insulti pronunciati in tedesco smentirebbero taluna storiografia anti-irredentista, la quale vorrebbe che anche alcuni cittadini trentini, quindi di ceppo italiano, avessero partecipato alle ingiurie. “Sovente volte i prigionieri vennero sputacchiati”. I testimoni riportano anche d’altri atti di violenza contro Battisti: gli furono gettati addosso polvere e zolfo con un mantice; fu percosso da una guardia cittadina; avendo chiesto da bere, gli fu offerta acqua sporca.
Il processo e l’esecuzione
La mattina seguente, il 12 luglio 1916, fu condotto insieme con Fabio Filzi davanti al tribunale militare, che aveva sede al Castello del Buonconsiglio, al tempo adibito a caserma delle truppe austro-ungariche. Durante il processo non si abbassò mai alle scuse, né rinnegò il suo operato e ribadì invece la sua piena fede all’Italia. Respinse l’accusa di tradimento a lui rivolta, basata sul fatto d’essere suddito asburgico passato alle file nemiche e deputato del Reichsrat. Egli si considerò invece soltanto un soldato catturato in azione di guerra.
Alla pronuncia della sentenza di morte mediante capestro per tradimento, Battisti prese la parola e chiese tramite l’avvocato d’ufficio, invano, di essere fucilato invece che impiccato, per rispetto alla divisa militare che indossava. Il giudice gli negò questa richiesta. Si procedette invece ad acquistare alcuni miseri indumenti da fargli indossare, dando esecuzione alla sentenza due ore dopo la sua lettura.
L’esecuzione avvenne nella Fossa della Cervara, sul retro del castello verso le 16:30. Le cronache riportano che la prima volta il cappio si spezzò e che il carnefice ripeté l’esecuzione con una nuova corda. Pompeo Zumin, testimone diretto, scrisse che, qualche ora prima dell’impiccagione, aveva chiesto al boia (Josef Lang, venuto da Vienna e chiamato ancora prima che il processo incominciasse) come questa sarebbe avvenuta. Costui gliela spiegò mimandola con un assistente, passando una corda sottile attorno al collo di quest’ultimo e fissandola poi a un gancio, posto in cima a un palo infisso per terra: il corpo del condannato sarebbe stato sollevato di peso e poi lasciato cadere. Richiesto se quella corda fosse adatta per l’esecuzione, il Lang rispose che la corda buona la teneva nella valigia, donde effettivamente poi l’estrasse quando la prima si spezzò, il che sta a significare che già era stato deciso che il supplizio sarebbe stato ripetuto.
Cesare Battisti affrontò il processo, la condanna e l’esecuzione con animo sereno e con grande fierezza, nonostante la misera esposizione durante il tragitto in città, il fatto che fosse stato condotto alla forca vestito quasi di stracci e che non gli si permise di scrivere alla famiglia, ma solo di dettare a uno scrivano una lettera diretta al fratello Giuliano.
Alla vedova Ernesta Bittanti fu liquidato l’importo di 10 000 lire dalla RAS, compagnia di assicurazione di Trieste, all’epoca austroungarica. Cesare Battisti è ricordato nel canto popolare italiano La canzone del Piave, citato assieme a Nazario Sauro e Guglielmo Oberdan.
Le sue ultime parole
«Viva Trento italiana! Viva l’Italia!»
Queste ultime parole sono confermate da numerose fonti: in primis le troviamo nelle motivazioni della Medaglia d’oro al valor militare che gli è stata assegnata, si possono leggere in un testo del 1916, compaiono nel sito dell’A.N.A., sono riportate su testi di carattere generale o monografici e vengono riprese anche da stampa in rete recente. Anche la seconda edizione dell’Enciclopedia Italiana pubblicata nel 1930 riporta tale esclamazione.
Ulteriori conferme si hanno da testimoni oculari dell’esecuzione: nel 1919 il dottor Pompeo Zumin intervistato da L’Unità di Gaetano Salvemini e nel 1987 Tullio Mosna in un’intervista realizzata dal quotidiano locale Alto Adige.
Fonti Wikipedia
3.20
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