Si eseguono stime e perizie per materiale riguardante Impero italiano in Africa fondato nel 1936
Proclamazione Impero 9 Maggio 1936
Ufficiali! Sottufficiali! Gregari di tutte le Forze Armate dello Stato, in Africa e in Italia! Camicie nere della rivoluzione! Italiani e italiane in patria e nel mondo! Ascoltate!
Con le decisioni che fra pochi istanti conoscerete e che furono acclamate dal Gran Consiglio del Fascismo, un grande evento si compie: viene suggellato il destino dell’Etiopia, oggi, 9 maggio, quattordicesimo anno dell’era fascista. Tutti i nodi furono tagliati dalla nostra spada lucente e la Vittoria africana resta nella storia della Patria, integra e pura, come i Legionari caduti e superstiti la sognavano e la volevano. L’Italia ha finalmente il suo Impero. Impero Fascista, perché porta i segni indistruttibili della volontà e della potenza del Littorio Romano, perché questa è la meta verso la quale durante quattordici anni furono sollecitate le energie prorompenti e disciplinate delle giovani, gagliarde generazioni italiane. Impero di pace, perché l’Italia vuole la pace per sé e per tutti e si decide alla guerra soltanto quando vi è forzata da imperiose, incoercibili necessità di vita. Impero di civiltà e di umanità per tutte le popolazioni dell’Etiopia.Questo è nella tradizione di Roma, che, dopo aver vinto, associava i popoli al suo destino.Ecco la legge, o italiani, che chiude un periodo della nostra storia e ne apre un altro come un immenso varco aperto su tutte le possibilità del futuro:
1 – I territori e le genti che appartenevano all’impero di Etiopia sono posti sotto la sovranità piena e intera del Regno d’Italia.
2 – Il titolo di Imperatore d’Etiopia viene assunto per sé e per i suoi successori dal Re d’Italia.
Ufficiali! Sottufficiali! Gregari di tutte le forze Armate dello Stato, in Africa e in Italia! Camicie nere! Italiani e italiane!
Il popolo italiano ha creato col suo sangue l’Impero. Lo feconderà col suo lavoro e lo difenderà contro chiunque con le sue armi.In questa certezza suprema, levate in alto, o Legionari, le insegne, il ferro e i cuori, a salutare, dopo quindici secoli, la riapparizione dell’Impero sui colli fatali di Roma. Ne sarete voi degni? Questo grido è come un giuramento sacro, che vi impegna dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini, per la vita e per la morte!
Camicie nere! Legionari! Saluto al Re!
Proclamazione dell’Impero sui quotidiani del Maggio 1936
COLONIALISMO
Il colonialismo italiano ebbe inizio alla fine del XIX secolo, con l’acquisizione pacifica dei porti africani di Assab e Massaua, sul mar Rosso. A seguito della spartizione dell’Africa da parte delle potenze europee (1881-1914), il Regno d’Italia deteneva il controllo dell’Eritrea e della Somalia, oltre che di Cirenaica, Tripolitania e Isole egee, sottratte all’Impero ottomano nel corso della guerra italo-turca (1911-1912). Sussisteva anche una concessione italiana a Tientsin, in Cina, sin dal 1901. Nel corso della prima guerra mondiale, un corpo di spedizione italiano occupò preventivamente l’Albania meridionale per impedirne la conquista da parte dell’Impero austro-ungarico, instaurandovi un protettorato (1917-1920).
Il regime fascista di Benito Mussolini, salito al potere dopo il conflitto mondiale, manifestò l’intenzione di espandere i possedimenti del regno e soddisfare le pretese degli irredentisti. Nel 1934 Cirenaica e Tripolitania furono unite nella Libia italiana; con la guerra del 1935-36 l’Italia conquistò l’Etiopia, che fu unita ad Eritrea e Somalia per dare vita all’Africa Orientale Italiana, nel 1938 Vittorio Emanuele III d’Italia assunse il titolo di Primo maresciallo dell’Impero e fu proclamata ufficialmente la nascita dell’impero italiano che durò sino alla caduta del fascismo. Nel 1939 fu nuovamente conquistata l’Albania, regno che fu quindi posto in unione personale con quello d’Italia (1939-1943).
Dopo l’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale nel 1940, il territorio metropolitano del regno, assieme a quello delle colonie e delle zone di occupazione militare, raggiunse la sua massima espansione. I territori italiani – oltre a quelli fin qui citati – si estendevano allora da parte della Francia meridionale ai protettorati e alle occupazioni nei Balcani (Slovenia, Dalmazia, Croazia, Montenegro, Grecia), alla Somalia britannica. Sia le colonie storiche sia le acquisizioni più recenti andarono tuttavia perdute a causa delle successive vicende belliche e dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati (8 settembre 1943).
Allo Stato italiano, seppur schieratosi a fianco degli Alleati dopo il 1943, furono imposte dure condizioni dal trattato di Parigi del 1947: tra di esse, la perdita di tutte le colonie ad eccezione della Somalia, amministrazione fiduciaria italiana dal 1950. Il 1º luglio 1960 la Somalia ottenne l’indipendenza, sancendo così la fine dell’ottantennio coloniale italiano.
La posizione degli Stati preunitari
Nel periodo delle grandi esplorazioni geografiche (a partire dal XV secolo) alcuni paesi europei cominciarono ad estendere i propri domini oltreoceano e a creare dei veri e propri imperi coloniali (in particolare nelle Americhe), ad opera soprattutto di Spagna, Portogallo, Francia, Paesi Bassi, Inghilterra e anche Danimarca, Svezia e Curlandia.
Gli Stati italiani non parteciparono a tali espansioni. Ferdinando I, granduca di Toscana, fece l’unico tentativo italiano di creare colonie in America, organizzando nel 1608 una spedizione nel nord del Brasile sotto il comando del capitano inglese Robert Thornton. Tuttavia Thornton, al suo ritorno dal viaggio preparatorio nel 1609 (era stato sul Rio delle Amazzoni), trovò Ferdinando I morto e il suo successore, Cosimo II, abbandonò il progetto.
Il 29 maggio 1537, dallo Stato Pontificio, papa Paolo III Farnese pubblicò la bolla Veritas Ipsa (conosciuta anche come Sublimis Deus) nella quale condannava duramente la riduzione in schiavitù degli amerindi (indifferentemente se questi ultimi fossero o meno cattolici) da parte dei colonizzatori, minacciando i trasgressori di scomunica.
La politica del Regno d’Italia e lo “schiaffo di Tunisi”
Dopo la nascita del Regno d’Italia, il neonato Stato mostrò interesse per l’Asia, dove la sua attività coloniale si limitò tuttavia alle piccole concessioni cinesi di Tientsin e Shanghai, ma anche per l’Africa; infatti il governo Cavour IV fece un tentativo – stroncato prontamente da inglesi e francesi – di creare una piccola colonia, inizialmente commerciale, sulla costa della Nigeria e nell’isola portoghese del Príncipe, successivamente si considerò la Tunisia, ove si era stabilita da qualche anno una comunità di italo-tunisini.
Tuttavia, l’imposizione del protettorato francese in Tunisia nel 1881, provocó una indispettita reazione del governo Depretis e una svolta nella politica estera italiana; fu proprio per l’azione improvvisa della Francia – ricordato in Italia come lo “schiaffo di Tunisi” – che il governo italiano intraprese i contatti diplomatici con la Germania e l’Impero Austro-Ungarico che portarono alla firma del trattato della Triplice Alleanza nel 1882, determinando così l’interruzione del processo di riunificazione nazionale con il Trentino e la Venezia Giulia ancora in mano all’Impero austriaco.
Frizioni con la Francia si ebbero, nel medesimo periodo, anche in Algeria, dove a Bona era attiva una comunità italiana di pescatori di corallo.
I progetti in Asia e la concessione di Sabah
Nei primi due decenni dopo l’unità, l’Italia guardava con un certo interesse ai pochi territori asiatici ancora liberi da altre potenze coloniali, in particolare nelle Indie orientali. Nel 1880 il barone Von Overbeck, console dell’Impero austro-ungarico ad Hong Kong, visto il rifiuto del proprio governo di un aiuto nella sua concessione del Borneo settentrionale, l’attuale stato di Sabah della Malaysia, chiese al governo italiano se fosse interessato ad acquisire la concessione e creare la prima colonia italiana nell’Asia insulare (Borneo), ma il progetto naufragò per il rifiuto di Roma di intervenire, lasciando così mano libera alla Gran Bretagna, che occupò successivamente la concessione, inglobandola nella Malaysia Britannica. La motivazione iniziale di Von Oberbeck riguardava la possibilità di creare una colonia penale del governo italiano nell’area di Sabah:
«… analoghi passi e proprio in quei mari (della Malesia) – oltre che in Argentina – avrebbe fatto, pochi anni dopo, il governo italiano, desideroso di confinare lontano dalla madrepatria i detenuti più pericolosi, specialmente dopo la repressione del brigantaggio meridionale (1860-64); tentativi che, peraltro, non ebbero esito positivo» |
Alla fine del 1869 l’esploratore Giovanni Battista Cerruti fu mandato nella Nuova Guinea per allacciare rapporti con le popolazioni locali, ottenendo buoni risultati per la creazione di un’eventuale colonia commerciale e/o colonia penale, ma il timore di inimicarsi il Regno Unito e i Paesi Bassi fece fallire tutto. Cerruti infatti era tornato nel 1870 a Firenze con bozze di trattati firmati dai sultani delle isole di Aru, Kai e Balscicu nella Nuova Guinea, dove veniva accettata da loro la sovranità italiana (il Cerruti aveva finanche preso possesso di alcuni settori della costa settentrionale ed occidentale nella Nuova Guinea in nome dell’Italia).
Nel 1883 il governo italiano chiese a quello inglese per via diplomatica se avesse accettato che la Nuova Guinea potesse diventare una colonia italiana: al rifiuto britannico l’Italia abbandonò ogni tentativo di colonizzazione nel Pacifico asiatico.
I primi insediamenti nel corno d’Africa
I primi tentativi riusciti di creare i primi possedimenti coloniali risalgono ai governi della Sinistra di Agostino Depretis e di Francesco Crispi, anche se alcuni governi precedenti avevano appoggiato, sebbene non in maniera esplicita, alcune iniziative private, come l’acquisizione della baia di Assab da parte della Compagnia di Navigazione Rubattino. Oltre a questo, nel corso degli anni 1880 vi furono almeno tre tentativi ufficiali del governo italiano per l’acquisizione di un porto nel mar Rosso il quale potesse fungere da base verso un futuro impero coloniale in Asia o in Africa.
Oltre all’acquisto di Assab dalle mani della compagnia Rubattino (nel 1882), lo Stato italiano cercò di acquistare ed occupare il porto di Zeila, a quel tempo controllato dagli egiziani, ma senza esito. Quando gli egiziani dovettero ritirarsi dal corno d’Africa nel corso del 1884, i diplomatici italiani fecero un accordo con la Gran Bretagna per l’occupazione del porto di Massaua (avvenuta nel 1885) che assieme ad Assab formò i cosiddetti possedimenti italiani nel mar Rosso, che dal 1890 furo o raggruppati nella colonia eritrea.Possedimenti italiani nel 1896 nel Corno d’Africa, includendo il rigettato protettorato abissino e l’area sudanese di Cassala
Per i governi crispini, la città di Massaua diventò il punto di partenza per un progetto che doveva sfociare nel controllo dell’intero Corno d’Africa. Agli inizi degli anni ottanta questa zona era abitata da popolazioni etiopiche, dancale, somale e oromo autonome o sottoposte formalmente a diversi dominatori: gli egiziani (lungo le coste del mar Rosso), sultani (Harar, Obbia e Zanzibar i più importanti), emiri o capi tribali. Diverso il caso dell’Etiopia, allora retta dal Negus Neghesti (“Re dei Re”) Giovanni IV, ma con la presenza di un secondo Negus (re) nei territori del sud: Menelik.
Attraverso gli studiosi e i commercianti italiani che frequentavano la zona già dagli anni sessanta, l’Italia cercò di dividere i due Negus al fine di penetrare, dapprima politicamente e in seguito militarmente, all’interno dell’altopiano etiopico. Tra i progetti vi furono l’occupazione della città di Harar, l’acquisto di Zeila dai britannici e l’affitto del porto di Chisimaio posto alla foce del Giuba in Somalia. Tutti e tre i progetti non si conclusero positivamente, in particolare la presa della città di Harar da parte delle forze etiopiche di Menelik impedì l’esecuzione di un’operazione simile da parte delle forze italiane. Durante la guerra d’Eritrea, la disfatta nella battaglia di Dogali del 1887, segnó una brusca interruzione dell’espansione italiana ai danni dell’Impero d’Etiopia.
Nel 1889 l’Italia ottenne, tramite un accordo da parte del console italiano di Aden con i rispettivi sultani, i protettorati sul sultanato di Obbia e su quello della Migiurtinia. Nel 1892 il sultano di Zanzibar concesse in affitto i porti del Benadir (fra cui Mogadiscio e Brava) alla società commerciale “Filonardi”. Il Benadir, sebbene gestito da una società privata, fu sfruttato dal Regno d’Italia come base di partenza per delle spedizioni esplorative verso le foci del Giuba e dell’Omo e per l’assunzione di un protettorato sulla città di Lugh.
GUERRA D’ERITREA – i dettagli
Dopo aver visto frustrate le sue ambizioni coloniali sulla Tunisia ad opera della Francia nel 1881, il governo italiano decise di indirizzare le sue mire espansionistiche verso un territorio africano fino ad allora poco considerato dalle potenze coloniali, il Corno d’Africa, dove già da tempo si stavano indirizzando gli interessi di alcuni imprenditori italiani. Nel 1882 lo Stato italiano acquistò dalla compagnia Rubattino la baia di Assab, iniziando così la penetrazione nell’area. I primi militari italiani furono quattro carabinieri sbarcati ad Assab il 16 maggio 1883. Nel febbraio del 1885, prendendo a pretesto il massacro avvenuto in Dancalia di una spedizione commerciale guidata dall’esploratore Gustavo Bianchi, un piccolo corpo di spedizione italiano (800 uomini di un battaglione di bersaglieri) al comando del colonnello Tancredi Saletta occupò il porto di Massaua, allontanandone senza alcuno scontro la locale guarnigione egiziana che all’epoca controllava il porto della città; l’azione era stata possibile anche grazie al beneplacito del primo ministro britannico William Ewart Gladstone. Nei mesi successivi l’Italia occupò tutta la fascia costiera tra Massaua e Assab, conquistò Saati e annesse Massaua al Regno.
Tallero d’Eritrea, coniato nel 1891 dal Governo italiano.
Nelle intenzioni del ministro degli esteri italiano Pasquale Stanislao Mancini, la conquista di Massaua doveva essere la prima fase di una penetrazione italiana nel Sudan, allora un co-dominio anglo-egiziano ma preda fin dal 1881 di una violenta rivolta delle popolazioni musulmane guidate dal capo religioso Muhammad Ahmad, autoproclamatosi Mahdi; i piani del Mancini furono però rigettati dagli inglesi che, di fronte all’incalzare della rivolta, avevano deciso di abbandonare il paese. Il fallimento della sua politica e le critiche provenienti dal Parlamento spinsero Mancini alle dimissioni; il suo posto venne preso dal conte di Robilant che, seppur disapprovando la politica coloniale intrapresa dall’Italia, decise di continuare le operazioni in Eritrea. I primi mesi della spedizione erano stati scanditi dal sostanziale disinteresse del governo di Agostino Depretis – eccezion fatta per Mancini – per le questioni coloniali e dal tentativo della Consulta di lasciarsi aperte tutte le strade cadendo nell’errore, per certi versi grossolano, di credere che gli inglesi avessero la reale volontà di stringere una partnership con Roma quando al massimo si sarebbe trattato, come poi fu, di un semplice “non nocet” all’occupazione di Massaua. Con Di Robilant agli Esteri invece la linea da seguire fu, almeno in teoria quella del “raccoglimento”, tuttavia l’occupazione di Saati voluta da Saletta e perfezionata da Genè non avrebbe tardato a rappresentare un motivo di frizione tra gli italiani e Ras Alula.
Dogali e la presa di Asmara
Fallita la prospettiva di spingersi in Sudan, il governo italiano puntò ad ampliare i suoi possedimenti puntando all’occupazione dell’altopiano occidentale eritreo, allora formalmente parte dell’Impero d’Etiopia. L’impero etiope era ancora basato su una struttura feudale: i vari sovrani locali (i ras) erano sottomessi solo formalmente all’imperatore (Negus Neghesti, cioè Re dei Re), dovendo a lui solo un tributo annuo e l’appoggio dei propri seguaci in caso di guerra, mentre per il resto erano praticamente autonomi. Il negus Giovanni IV d’Etiopia non aveva reagito all’occupazione di Massaua, ma in seguito avanzò forti proteste quando gli italiani occuparono i villaggi di Saati e Uaà, posti in un’area nominalmente sotto sovranità egiziana ma lasciati da tempo al controllo etiope.
Inizialmente Robilant avviò contatti diplomatici con il negus, ma in seguito, fallite queste trattative, decise di intraprendere una soluzione militare alla questione, definendo sprezzantemente le truppe del negus “quattro predoni”. Il 25 gennaio 1887, un’armata etiope forte di 10.000 uomini al comando del ras Alula Engida, fedelissimo del negus, attaccò il piccolo presidio italiano di Saati, venendo però respinta dopo quattro ore di duri combattimenti; a corto di munizioni, il comandante del presidio, maggiore Boretti, richiese al generale Carlo Genè l’invio di rinforzi e rifornimenti. La mattina del 26 gennaio 1887 una colonna di truppe italiane al comando del tenente colonnello Tommaso De Cristoforis mosse da Moncullo per portare i rifornimenti a Saati, ma cadde in un’imboscata degli uomini di Alula Engida nei pressi di Dogali, venendo completamente distrutta con la perdita di 430 uomini; il presidio di Saati venne ritirato poco dopo e il villaggio abbandonato nelle mani degli etiopi. La sconfitta della colonna italiana provocò una serie di proteste di piazza contro la politica coloniale del governo, obbligando Robilant alle dimissioni e il presidente del consiglio Agostino Depretis a un rimpasto di governo.
Il successore di Depretis, Francesco Crispi, seppur anch’egli critico verso questa campagna coloniale, decise di continuare le operazioni, inviando in Eritrea un corpo di spedizione forte di 20.000 uomini al comando del generale Alessandro Asinari di San Marzano; il corpo di spedizione giunse in Eritrea a partire dall’ottobre del 1887, ma rimase per diversi mesi nei suoi acquartieramenti di Massaua, in attesa dell’esito di una missione diplomatica britannica inviata presso il negus per riportare la pace tra Italia ed Etiopia. Fallite le trattative, il 1º febbraio 1888 San Marzano mosse le sue truppe e rioccupò Saati, fortificandolo pesantemente. Nel marzo dello stesso anno, il negus mosse con un grosso esercito verso Saati, attestandosi a poca distanza dalle posizioni italiane; i due eserciti si fronteggiarono dalle rispettive posizioni, fino a che, nell’aprile seguente l’esercito del negus, falcidiato dalle malattie, non decise di ritirarsi, senza essere inseguito dagli italiani. Di lì a poco, anche lo stesso San Marzano venne richiamato in patria insieme a gran parte del corpo di spedizione, lasciando il comando della colonia al generale Antonio Baldissera.
Baldissera iniziò subito a ristrutturare l’organizzazione militare italiana nella colonia: in particolare, le truppe indigene reclutate localmente (gli àscari) vennero ampliate e riunite in una struttura a parte, il Corpo Speciale d’Africa, che poteva mettere in campo quattro battaglioni autonomi di àscari comandati da ufficiali italiani. Con queste nuove truppe, Baldissera ricevette il compito di risalire l’altopiano eritreo e di occupare la città di Asmara, sfruttando il momento di debolezza in cui si trovavano gli etiopi: il negus Giovanni, infatti, era stato ucciso il 9 marzo 1889 nella battaglia di Gallabat contro i mahdisti sudanesi, e il suo successore, Menelik II, era ancora intento a rafforzare la sua posizione. L’avanzata di Baldissera fu lenta, preferendo il generale agire per vie diplomatiche con i ras locali, tutti piuttosto ostili al governo centrale etiopico. Il 26 luglio 1889 venne occupata, praticamente senza combattere, la città di Cheren, seguita il 3 agosto da Asmara, ma l’8 agosto gli italiani incapparono in una nuova sconfitta a Saganeiti, quando una piccola colonna di ascari cadde in un’imboscata di ribelli eritrei, perdendo diversi uomini e tutti gli ufficiali italiani; la sconfitta attirò pesanti critiche su Baldissera, che tuttavia venne riconfermato dal Governo nel suo ruolo.
Baldissera propose di continuare nella politica di dividere i ras dal governo centrale per guadagnare altre posizioni, ma il nuovo ambasciatore italiano ad Addis Abeba, il conte Pietro Antonelli, spingeva da tempo per giungere ad un accordo generale con Menelik, con il quale intratteneva relazioni sin dal 1883; in particolare, Antonelli prospettò a Crispi la possibilità di giungere ad un trattato che ponesse l’intera Etiopia sotto protettorato italiano. Il 2 maggio 1889 venne quindi firmato il controverso trattato di Uccialli, con il quale, secondo l’interpretazione italiana, l’Etiopia non solo riconosceva il controllo italiano sull’Eritrea, ma diventava di fatto un protettorato italiano; Baldissera, che aveva già iniziato i contatti con il principale dei nemici di Menelik, il Ras Mangascià, vide sconfessata tutta la sua strategia, e chiese ed ottenne di essere richiamato in patria, sostituito dal generale Oreste Baratieri. Nel 1890 l’Eritrea divenne ufficialmente una colonia italiana.
L’invasione mahdista
Ascari italiani affrontano dei cavalieri mahdisti presso Tucruf, in Sudan
Cacciati i reparti britannici ed egiziani, i ribelli mahdisti del Sudan iniziarono a cercare di aprirsi una via verso il Mar Rosso, penetrando nei confini della colonia italiana. Dopo alcune schermaglie di confine ad Agordat il 27 giugno 1890 e a Serobeti il 16 giugno 1892, un’armata mahdista forte di 10.000 uomini e comandata da Ahmed Wad Alì, emiro di Gheraref, invase la colonia nel dicembre del 1893. Il 21 dicembre, l’armata venne affrontata dalle truppe del generale Giuseppe Arimondi, composte da 2.200 uomini (in gran parte ascari), che inflissero ai mahdisti una dura disfatta nella piana di Agordat, in quella che fu a tutti gli effetti la prima indiscussa vittoria del Regio Esercito italiano.
La sconfitta dei mahdisti ad Agordat spinse Baratieri ad ordinare un’incursione oltre il confine con il Sudan. Il 16 luglio 1894, Baratieri condusse personalmente una colonna di 2.600 tra ascari ed italiani verso la città sudanese di Cassala, conquistandola dopo un breve combattimento; a Cassala venne lasciato un presidio al comando del maggiore Domenico Turitto, mentre Baratieri con il grosso delle truppe rientrò in Eritrea. Nelle intenzioni degli italiani, Cassala doveva fare da trampolino di lancio per una campagna contro lo stato mahdista da tenersi in collaborazione con i britannici, ma questi ultimi rifiutarono l’aiuto italiano, temendo che esso celasse mire espansionistiche in Sudan.
I mahdisti tentarono di riconquistare la città nel febbraio del 1896, approfittando del fatto che il grosso delle truppe italiane si trovava impegnato nella guerra d’Abissinia, muovendo sulla città un’armata forte di 4.000 fanti e 1.000 cavalieri al comando dell’emiro Ahmed Fadl. Il 22 febbraio l’avanguardia dell’armata madhista assalì gli avamposti italiani di Gulusit e Futa, due chilometri a nord di Cassala, obbligandoli a ripiegare in città. L’8 marzo, i madhisti attaccano il villaggio di Sebderat, a cavallo della strada che collega Cassala ad Agordat: gli irregolari eritrei posti a presidio del villaggio furono respinti, ma un contrattacco lanciato da un manipolo di ascari giunti da Cassala costrinse i madhisti a ritirarsi; i sudanesi tentarono nuovamente di prendere Sebderat il 18 marzo seguente, ma la guarnigione di ascari lasciata a presidio del villaggio respinse l’attacco.
I madhisti passarono quindi ad assediare la stessa Cassala, aprendo il fuoco sulla città con alcuni vecchi cannoni catturati agli egiziani. Il 31 marzo giunse a Cassala una colonna di rinforzi partita da Agordat al comando del colonnello Stevani, composta dai II, III, VI, VII ed VIII Battaglione indigeni. Nella notte del 2 aprile la colonna tentò un attacco contro il monte Mokram, da cui sparavano i cannoni sudanesi; dopo un’azione piuttosto confusa, alle prime luci dell’alba del 3 aprile i madhisti abbandonarono il monte e ripiegarono sul loro accampamento fortificato presso il villaggio di Tucruf, a nord di Cassala. Quello stesso giorno il grosso della guarnigione italiana lasciò la città e mosse sul campo dei madhisti. inizialmente il campo venne ritenuto abbandonato, ma una volta avvicinatisi gli ascari italiani subirono un intenso fuoco di fucileria proveniente da alcune trincee ben mimetizzate. I reparti italiani caricarono le posizioni madhiste, ma le numerose perdite convinsero il colonnello Stevani a sospendere l’azione e a riportare le truppe a Cassala, respingendo strada facendo alcune incursioni della cavalleria sudanese. Temendo un nuovo attacco, la notte del 7 marzo i dervisci sgombrarono Tucruf e levarono l’assedio alla città.
La guarnigione italiana di Cassala venne ritirata nel dicembre del 1897, quando la città venne restituita agli anglo-egiziani; la rivolta madhista sarà infine schiacciata dagli anglo-egiziani con la vittoria nella battaglia di Omdurman il 2 settembre 1898.
L’occupazione del Tigrè
Ras Mangascià.
Visti i contrasti con Menelik sull’interpretazione da dare ad alcune delle clausole del trattato di Uccialli, il governo italiano decise di riprendere i contatti con il suo principale avversario, il Ras Mangascià, nel dicembre del 1891; tuttavia il conte Antonelli, ora sottosegretario agli esteri, sconfessò questa linea di azione, preferendo portare avanti la politica dell’accordo diretto e globale con il negus. Deluso da questo nuovo voltafaccia degli italiani, Mangascià iniziò a fornire appoggio alle tribù eritree che si stavano ribellando al dominio italiano. Nel dicembre del 1894, le tribù della regione dell’Acchelè-Guzai si ribellarono agli italiani sotto la guida del capo Batha Agos. I ribelli posero l’assedio al presidio italiano di Balai, ma vennero sconfitti da una colonna di soccorso guidata dal maggiore Pietro Toselli il 18 dicembre; nel breve combattimento Bathà Agos rimase ucciso, e la rivolta venne presto domata.
Soffocata la rivolta eritrea, Baratieri ricevette l’ordine di invadere la regione di Tigrè, feudo di Mangascià, prendendo a pretesto l’appoggio da questi dato ai ribelli; nelle intenzioni del governo italiano, la conquista del Tigrè avrebbe permesso di trattare da una posizione di forza con Menelik, oltre che ampliare i confini della colonia. Il 12 gennaio 1895 le truppe italiane sconfissero i 12.000 guerrieri di Mangascià nella battaglia di Coatit, per poi inseguirli e disperderli nei pressi di Senafè il 14 gennaio seguente. Mangascià tentò un contrattacco avanzando con poche truppe verso Adigrat, ma venne anticipato da Baratieri che occupò la località tra il 25 e il 26 marzo, estendendo poi l’occupazione italiana alle città di Macallè e Aksum; per l’aprile del 1895 gran parte del Tigrè era ormai in mani italiane. Mangascià cercò di ricostruire il suo esercito presso Debra Ailà, ma saputo che un grosso contingente italiano era diretto verso di lui, abbandonò la località lasciandovi solo un piccolo presidio, che venne facilmente disperso dagli italiani il 9 ottobre; un nuovo tentativo di catturare Mangascià venne tentato da Toselli, che il 13 ottobre occupò la montagna di Amba Alagi, non trovandovi però truppe nemiche. Mangascià riuscì a sottrarsi alla cattura riparando presso Menelik ad Addis Abeba. A questo punto l’avanzata italiana si arrestò, e mentre le truppe si trinceravano sulle nuove posizioni occupate Baratieri si recò in licenza in Italia, dove invano chiese al governo rinforzi per consolidare le conquiste ottenute.
L’invasione italiana del Tigrè, al di là delle conquiste territoriali, era andata a tutto vantaggio di Menelik: Mangascià, un tempo suo avversario, era ora divenuto un suo stretto alleato. Questo diede a Menelik il pretesto per rompere il trattato di Uccialli e muovere guerra ai dispersi presidi italiani, dando così avvio alla Guerra d’Abissinia.
La guerra d’Abissinia
A seguito della sconfitta e della morte dell’imperatore Giovanni in una guerra contro i dervisci sudanesi, l’esercito italiano di stanza a Massaua occupò (1889) una parte dell’altopiano etiopico, compresa la città di Asmara, sulla base di precedenti ambigui accordi fatti con Menelik il quale, con la morte del rivale, era riuscito a farsi riconoscere Negus Neghesti. A seguito del trattato di Uccialli, Menelik accettò la presenza degli italiani sull’altopiano e di utilizzare l’Italia come canale di relazione con paesi esteri. Quest’ultimo riconoscimento venne trascritto come obbligatorio nella versione italiana del trattato, comunicata alle altre potenze europee, ma come semplice opzione nella versione in lingua amarica. Per le leggi internazionali dell’epoca riconoscere l’obbligo a servirsi di un certo paese significava l’accettazione di un protettorato.
Il trattato pose le basi per lo scoppio di un conflitto e la successiva avanzata italiana in Abissinia (ora Etiopia). Dopo la sconfitta che l’Italia subì il 1º marzo 1896 nella battaglia di Adua, il 26 ottobre 1896 fu conclusa la pace di Addis Abeba, con la quale l’Italia rinunciava alle sue mire espansionistiche in Abissinia. La disfatta provocò forti reazioni in tutta Italia, dove vi fu chi propose un immediato rilancio del progetto coloniale e chi, come una parte del partito socialista, propose di abbandonare immediatamente queste imprese.
La campagna contro i derviscii
La sconfitte subite dai mahdisti ad Agordat da parte delle truppe italiane ed ascare, spinse il generale Oreste Baratieri ad ordinare un’incursione oltre il confine con il Sudan. Il 16 luglio 1894, Baratieri condusse personalmente una colonna di 2.600 tra ascari ed italiani verso la città sudanese di Cassala, conquistandola dopo un breve combattimento; a Cassala venne lasciato un presidio al comando del maggiore Domenico Turitto, mentre Baratieri con il grosso delle truppe rientrò in Eritrea. Nelle intenzioni degli italiani, Cassala doveva fare da trampolino di lancio per una campagna contro lo stato mahdista da tenersi in collaborazione con i britannici, ma questi ultimi rifiutarono l’aiuto italiano, temendo che esso celasse mire espansionistiche in Sudan.
La guarnigione italiana di Cassala venne ritirata nel dicembre del 1897, quando la città venne restituita agli anglo-egiziani; la rivolta madhista terminerà infine con la vittoria britannica nella battaglia di Omdurman, il 2 settembre 1898
La rivolta dei boxer e la concessione di Tientsin
Nel 1899 vi era stato un tentativo, mediante ultimatum, del governo italiano di ottenere dalla Cina (dopo che nell’anno precedente questa aveva già ceduto località e basi costiere alla Germania, alla Russia, alla Francia e alla Gran Bretagna) la cessione della baia di Sanmen e il riconoscimento della provincia di Zhejiang come area di influenza economica italiana. Il tentativo (anche a causa dell’improvviso venir meno dell’iniziale sostegno britannico) si risolse in un disastro diplomatico, il primo successo cinese su una grande potenza europea, e provocò la caduta del primo governo Pelloux.
Durante la Rivolta dei Boxer in Cina (1899-1901), l’Italia intervenne nel Paese asiatico con un corpo di spedizione, al fianco delle altre Grandi Potenze. Alla fine del conflitto, il governo cinese concesse all’Italia una piccola zona nella città di Tientsin.
La conquista della Libia
Tra il 1911 e il 1912 il Governo Giolitti, dopo una serie di accordi con la Gran Bretagna e la Francia, che ribadivano le rispettive sfere d’influenza nell’Africa settentrionale, dichiarò guerra all’Impero ottomano. Per costringere la Turchia alla resa, gli Italiani spostarono le operazioni militari nel mar Egeo e occuparono Rodi e le isole del Dodecaneso. La Turchia dovette cedere con la pace di Losanna nel 1912 e l’Italia occupò la Tripolitania e la Cirenaica, dando vita alla formazione della colonia della Libia italiana, il cui possesso venne consolidato nel corso degli anni venti e trenta.
La guerra italo-turca fu combattuta dal Regno d’Italia contro l’Impero ottomano tra il 29 settembre 1911 e il 18 ottobre 1912, per conquistare le regioni nordafricane della Tripolitania e della Cirenaica. Durante il conflitto fu occupato anche il Dodecaneso nel Mar Egeo; quest’ultimo avrebbe dovuto essere restituito ai turchi alla fine della guerra, ma rimase sotto amministrazione provvisoria da parte dell’Italia fino a quando, con la firma del trattato di Losanna nel 1912, la Turchia rinunciò a ogni rivendicazione, e riconobbe ufficialmente la sovranità italiana sui territori perduti nel conflitto.
Nel corso della guerra, l’impero ottomano si trovò notevolmente svantaggiato, poiché poté rifornire il suo piccolo contingente in Libia solo attraverso il Mediterraneo. La flotta turca non fu in grado di competere con la Regia Marina e gli Ottomani non riuscirono ad inviare rinforzi alle province nordafricane. Pur se minore, questo evento bellico fu un importante precursore della prima guerra mondiale, perché contribuì al risveglio del nazionalismo nei Balcani. Osservando la facilità con cui gli italiani avevano sconfitto i disorganizzati turchi ottomani, i membri della Lega Balcanica attaccarono l’Impero prima del termine del conflitto con l’Italia.
La guerra registrò numerosi progressi tecnologici nell’arte militare tra cui, in particolare, l’impiego dell’aeroplano (furono schierati in totale 9 apparecchi) sia come mezzo offensivo che come strumento di ricognizione. Il 23 ottobre 1911 il pilota capitano Carlo Maria Piazza sorvolò le linee turche in missione di ricognizione, e il 1º novembre dello stesso anno l’aviatore Giulio Gavotti lanciò a mano la prima bomba aerea (si disse grande come un’arancia) sulle truppe turche di stanza in Libia. Altrettanto significativo fu l’impiego della radio con l’allestimento del primo servizio regolare di radiotelegrafia campale militare su larga scala, organizzato dall’arma del genio sotto la guida del comandante della compagnia R.T. Luigi Sacco e con la collaborazione dello stesso Guglielmo Marconi. Infine, il conflitto libico registrò il primo utilizzo nella storia di automobili in una guerra: le truppe italiane furono dotate di autovetture Fiat e motociclette SIAMT. Nel novembre 1912 il quarto governo Giolitti istituì il ministero delle Colonie.
La grande guerra, il periodo interbellico e la politica del fascismo
Nel corso della prima guerra mondiale, un corpo di spedizione italiano occupò preventivamente l’Albania meridionale per impedirne la conquista da parte dell’Impero austro-ungarico, instaurandovi un protettorato (1917-1920).
Poco dopo la fine della guerra, il Regno invió un corpo di spedizione che procedette all’occupazione dell’Anatolia sudoccidentale per un breve periodo. Una delle richieste italiane durante la stesura del trattato di Versailles del 1919, dopo la fine della prima guerra mondiale, fu quella di ricevere la Somalia francese e il Somaliland Britannico in cambio della rinuncia alla ripartizione delle ex colonie tedesche tra le forze dell’Intesa. Fu l’ultimo tentativo dello stato liberale di perseguire la politica di penetrazione nel Corno d’Africa. Dopo il trattato, però, l’Italia ottenne solo l’Oltregiuba dalla Gran Bretagna, da annettere alla Somalia italiana ed una ridefinizione dei confini della Libia italiana, che venne così ampliata.
Nel 1919 e nei primi anni venti si ebbe l’occupazione italiana di Adalia in Anatolia, che finì dopo soli tre anni con un nulla di fatto una volta che Kemal Atatürk riconobbe la sovranità italiana nel Dodecaneso. Infatti il 9 marzo 1919, il governo italiano fece sbarcare truppe italiane ad Adalia e successivamente furono occupate anche le località vicine: Makri Budrun, Kuch-Adassi, Alanya, Konya, Ismidt e Eskişehir. Nell’autunno 1922 le truppe italiane lasciarono l’Anatolia.
Il secondo tentativo di creare un vasto impero coloniale si poneva come obiettivo il controllo di una zona di territorio che andasse dal mar Mediterraneo al Golfo di Guinea.
Il governo italiano cercò di stabilire degli insediamenti nel Ciad e di ottenere le colonie del Togo e del Camerun dell’Africa Tedesca del Sud-Ovest; il progetto non venne mai esplicitato pubblicamente, ma fu strategicamente chiaro durante le trattative per il Trattato di Versailles (1919) e causò frizioni diplomatiche con la Francia. Per realizzare questo progetto, avendo già formale possesso della Libia, il corpo diplomatico italiano chiese di avere la colonia tedesca del Camerun (o quella del Togo) e cercò di ottenere, come compenso per la partecipazione alla guerra mondiale, il passaggio del Ciad dalla Francia all’Italia.
Il progetto fallì quando il Camerun venne assegnato alla Francia. l’Italia ottenne solamente l’Oltregiuba dal Regno Unito, qualche correzione favorevole del confine libico e la striscia di Aozou dalla Francia, inoltre per compensare la perdita dell’Oltregiuba, ai britannici fu concesso 1/5 del Camerun ex tedesco che sarebbe poi stato unito alla colonia della Nigeria. Allo stesso tempo si considerò la possibilità di ottenere l’Angola, che fu oggetto delle trattative per il trattato di Versailles, ma l’Italia non ottenne un esito favorevole.
Una richiesta alternativa del programma delle rivendicazioni coloniali italiane riguardava la colonia portoghese dell’Angola (anche per il Congo belga fu fatta richiesta analoga).
Infatti il governo italiano a Parigi dichiarava che il Portogallo aveva un impero sproporzionato rispetto alle sue piccole dimensioni e scarsa popolazione, al contrario dell’Italia che si trovava in una situazione opposta. Furono avanzate due proposte:
- il riconoscimento all’Italia da parte del Portogallo di concessioni agricole in Angola per emigranti italiani;
- nel caso che il Portogallo venisse privato di alcune sue colonie, la Gran Bretagna e la Francia avrebbero riconosciuto all’Italia il diritto sull’Angola.
Contemporaneamente il governo italiano promosse la costituzione da parte delle 11 banche italiane più importanti di una “Società Coloniale per l’Africa Occidentale” per la gestione delle concessioni agricole in Angola. Comunque questo progetto trovò una ferma opposizione da parte delle autorità portoghesi.
Alla proposta italiana poi definita “assurda” risposero con fermezza Regno Unito e Francia in difesa portoghese ribadendo che le colonie portoghesi erano frutto di una conquista coloniale secolare da parte dei lusitani e che non c’era alcuna ragione concreta a che il Portogallo che pure aveva (molto limitatamente) partecipato alla I guerra mondiale cedesse la colonia all’Italia, dato che anch’esso figurava tra i vincitori del conflitto. L’Italia a giudizio franco-britannico aveva ottenuto già abbastanza con l’annessione della Venezia Tridentina e della Venezia Giulia nonché le rettifiche territoriali sempre a vantaggio italiano nell’Oltregiuba.
Nel 1919 il Re d’Italia Vittorio Emanuele III, invocando uno dei diritti italiani stabiliti in favore delle potenze vincitrici del 1° conflitto mondiale, all’articolo n. 9 del “Patto di Londra” dell’aprile 1915, chiese ed ottenne l’assenso di un’altra potenza vincitrice, l’Impero Britannico, attraverso i buoni uffici di Lloyd George, per l’invio in Georgia, terra in fermento indipendentista sia verso l’impero russo e sia verso la Turchia, di un contingente italiano di ben 85.000 uomini agli ordini del generale Giuseppe Pennella. Pennella avrebbe dovuto difendere l’indipendenza della Georgia e sostenere la neonata Federazione delle Repubbliche Transcaucasiche (Georgia, Armenia e Azerbaigian) per controbattere una possibile ingerenza dell’imperialismo russo. In altri termini, si può dire che la proposta di Lloyd George ricalcava gli esordi dell’espansione coloniale italiana nel Mar Rosso, nel penultimo decennio dell’Ottocento, che erano stati, in fondo, un episodio collaterale delle difficoltà britanniche nel Sudan all’epoca del ritiro delle guarnigioni egiziane dall’Eritrea e, poi, della grande insurrezione mahdista.
Del resto il governo Orlando, poco prima di cadere, decise con un apposito decreto, la spedizione italiana in Georgia e ne stabilì perfino i termini e le date. Ma il successivo governo Nitti decise di soprassedere per non compromettere le nuove relazioni tra l’Italia e la neocostituita Unione Sovietica.
Con la presa del potere del fascismo, In questa fase la colonia eritrea, sotto l’amministrazione del Governatore Jacopo Gasparini cercò di ottenere nel 1926 un protettorato sullo Yemen e creare una base per un impero coloniale sulla penisola araba. Mussolini non volle però inimicarsi la Gran Bretagna e fermò il progetto. Infatti tergiversò e si lasciò sfuggire il possibile controllo di un’interessante area petrolifera. Del resto in quegli anni Mussolini era in continuo contatto epistolare con Winston Churchill (allora suo amico), che lo convinse a non appoggiare il governatore Gasparini. Con lo scoppio della Crisi di Corfù nel settembre 1923 il neo-primo ministro Mussolini fece occupare per circa un mese l’isola. Il governo Mussolini cercò inizialmente di presentarsi in maniera propositiva nei confronti dell’Etiopia cercando di attuare un trattato di amicizia con l’amministrazione del reggente Hailé Selassié. Tale accordo si concretizzò nel trattato italo-etiope del 1928.
Successivamente un trattato del 1935 tra l’Italia e la Francia, rispettivamente potenze coloniali in Libia e in Ciad, assegnò la Striscia di Aozou alla Libia italiana: si trattava del cosiddetto Trattato Mussolini-Laval, peraltro mai ratificato ufficialmente.
Il regime fascista non si limitò a rivendicare il territorio, per secoli veneziano, della Dalmazia, già obiettivo dei padri del Risorgimento nel contesto del processo di unificazione nazionale, ma coltivò disegni imperiali per Albania, gran parte della Slovenia, Croazia, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia e Grecia, fondati sui precedenti dell’antica dominazione romana di queste regioni. Il regime cercò inoltre di stabilire un rapporto di protezione patrono-cliente con l’Austria, l’Ungheria, la Romania e la Bulgaria trascurando il fatto che i rapporti fra Ungheria e Romania erano tesi e che la Romania era sotto protezione francese dapprima e poi, a partire dal 1941, controllata dalla Germania nazista per le sue materie prime.
Mussolini richiese anche, come risarcimento del suo intervento nella guerra civile spagnola, l’isola di Minorca nelle Baleari allo scopo di farvi una base aeronavale italiana, ma la ferrea opposizione di Francisco Franco annullò ogni pretesa italiana. Secondo storici come Camillo Berneri, Mussolini ambiva non solo le Baleari, ma anche il Marocco spagnolo (specialmente l’area di Ceuta, che confinava con la zona internazionale di Tangeri nel quale l’Italia era co-garante dal 1928).
La conquista dell’Etiopia e la nascita dell’Impero
A seguito della completa conquista della Libia, avvenuta alla fine degli anni venti, Mussolini manifestò l’intenzione di dare un Impero all’Italia e l’unico territorio rimasto libero da ingerenze straniere era l’Abissinia, nonostante fosse membro della Società delle Nazioni. Il progetto d’invasione iniziò all’indomani della conclusione degli accordi sul trattato di amicizia e si concluse con l’ingresso dell’esercito italiano ad Addis Abeba il 5 maggio 1936.
Quattro giorni dopo, il 9 maggio, con la dichiarazione della sovranità del Regno d’Italia sull’Etiopia e l’incoronazione di Vittorio Emanuele III come Imperatore d’Etiopia (con il titolo di Qesar, anziché quello di “Negus Neghesti”), l’impero coloniale trovò la sua ufficializzazione.
A seguito dell’uccisione di civili e militari italiani in Libia ed Etiopia negli anni venti e trenta, durante il dominio coloniale italiano in Africa furono usate armi vietate, quali gas asfissianti e iprite. La successiva pacificazione attuata dal fascismo nelle colonie africane, talora brutale, fu totale in Libia, Eritrea e Somalia (mentre in Abissinia, dopo meno di cinque anni, nel 1940 oltre il 75% del territorio era completamente controllato dagli Italiani) e risultò in un notevole sviluppo economico dell’area, accompagnato da una consistente emigrazione di coloni italiani.
Con la conquista di gran parte dell’Etiopia si procedette ad una ristrutturazione delle colonie del Corno d’Africa. Somalia, Eritrea ed Abissinia vennero riunite nel vicereame dell’Africa Orientale Italiana (AOI). Il progetto coloniale terminò con l’occupazione britannica dei territori soggetti al dominio italiano nel 1941
La seconda guerra mondiale
Durante la della seconda guerra mondiale, Mussolini nel 1941 cercò di creare una Georgia “Protettorato italiano” sfruttando anche i legami tra le due nazioni, originati da Pennella nel 1919, senza però ottenere risultato alcuno. Nel corso del conflitto Corfù fu rioccupata dall’Esercito Italiano nell’aprile 1941. Tale occupazione durò fino al settembre 1943: durante questo periodo, sempre insieme alle Isole Ionie, venne amministrata come entità separata rispetto alla Grecia con l’intento di prepararne l’annessione al Regno d’Italia.
Nel corso della seconda guerra mondiale Mussolini e altri suoi gerarchi progettarono un ingrandimento dell’Impero italiano, qualora si fosse fatta una conferenza di pace dopo la vittoria dell’Asse. Il progetto, basato sul congiungimento delle due sezioni dell’Impero italiano nel 1939 (la Libia e l’Africa Orientale Italiana) tramite la conquista dell’Egitto e del Sudan – cui si sarebbero poi aggiunti la Somalia inglese (occupata temporaneamente nell’estate del 1940), Gibuti e la parte orientale del Kenya britannico – prevedeva una notevole colonizzazione di italiani (oltre un milione da trasferire principalmente in Etiopia ed Eritrea e circa mezzo milione in Libia) e il controllo del canale di Suez.
Dopo l’occupazione, tra il 1939 e il 1941, di alcune zone della Dalmazia, del Montenegro, dell’Albania, del Kosovo e della Somaliland inglese, da parte delle truppe italiane, l’obiettivo di Mussolini fu quello di estendere la presenza italiana anche a Malta, Tunisia, Somalia francese e Corsica.
Dopo la caduta della Francia, l’illusione di una vittoria sulla Gran Bretagna spinse Mussolini e il Ministro degli Esteri Ciano ad iniziare una serie di colloqui con gli ambiti civili di Algeria, Egitto e Sudan. I colloqui vennero ben presto ostacolati dall’alleato tedesco e terminarono con la controffensiva britannica in Cirenaica.
Ai primi di novembre 1942, a seguito degli sbarchi alleati in Marocco e Algeria, l’Italia con l’operazione Anton occupò la Corsica e una fascia di territorio francese larga all’incirca 200 km a ovest del confine. Con quest’operazione (e le successive occupazioni della Tunisia e del Principato di Monaco) il territorio occupato dall’Italia nel Mediterraneo raggiunse la sua massima estensione, ma si trattò di un successo effimero, in quanto negli stessi giorni la seconda battaglia di El Alamein e il successivo crollo del fronte libico portarono alla perdita dell’Africa settentrionale e al successivo crollo dell’Italia.
Sul finire del 1941 Italia e Germania intavolarono una trattativa per occupare militarmente e politicamente la Svizzera, progetto poi mai andato in opera. Prevedeva la spartizione in due parti: alla Germania la parte settentrionale di lingua tedesca e francese, all’Italia il Canton Ticino, il Vallese e i Grigioni oltre a Ginevra aggregata alla Savoia italiana
La caduta del fascismo e la fine
L’Impero tramontò definitivamente nel corso del 1943, dopo l’espulsione del regio esercito ad opera delle forze britanniche e del Commonwealth, prima dall’Africa orientale (Campagna Alleata in Africa Orientale), nel novembre del 1941, e successivamente dal Nord Africa (Campagna del Nord Africa), nella primavera del 1943.
Le truppe italiane in Albania, nel Dodecaneso e nelle altre isole greche, non senza episodi cruenti come la Strage di Cefalonia, vennero ritirate a partire dal settembre 1943 dopo la caduta di Mussolini e la successiva resa dell’Italia, che pose fine all’aspirazione di fare dell’Italia una “potenza mondiale”. Dopo la fine dalla seconda guerra mondiale l’Italia venne privata di tutti i propri possedimenti con il trattato di Parigi del 1947.
Come conseguenza furono inoltre attuate piccole rettifiche sulla frontiera con la Francia e a cedere alla Jugoslavia Fiume, il territorio di Zara, le isole di Lagosta e Pelagosa, l’alta valle dell’Isonzo e gran parte dell’Istria e del Carso triestino e goriziano. Il trattato determinò la perdita di tutte le colonie fasciste, mentre per quelle prefasciste le decisioni spettarono all’ONU, che scelse di attribuire il Dodecaneso alla Grecia, affidare la Libia ad un’amministrazione anglo-francese e cedere l’Eritrea alla Gran Bretagna. L’ONU concesse solo di esercitare un protettorato sulla Somalia, che terminò il 1º luglio 1960 con la nascita della Repubblica indipendente di Somalia, formata dall’unione del protettorato con lo Stato del Somaliland.