Acquisto materiale relativo all’irredentismo, Trieste, Dalmazia, Istria, Fiume …
L’irredentismo è direttamente connesso col processo di formazione degli stati nazionali e può essere inteso in un duplice modo. Da un lato come il desiderio di alcuni popoli che, vivendo in una terra soggetta all’autorità di un certo Stato, vogliono distaccarsene: vuoi per entrare a far parte di un altro Stato al quale sentono di appartenere, vuoi per costituire un proprio Stato nazionale; dall’altro può essere inteso come la pretesa territoriale di uno Stato su una parte del territorio di un altro Stato. Non sempre le dispute territoriali sono irredentiste, ma spesso vengono presentate come tali per conquistare il sostegno internazionale e dell’opinione pubblica.
Irredentismo in Italia
L’irredentismo italiano nacque e si diffuse nell’ultimo terzo del XIX secolo, quando gran parte della penisola italiana era ormai unita assieme a Sardegna e Sicilia nel Regno d’Italia e la questione della completa unità nazionale era passata in secondo piano. Come movimento politico, primariamente anti-austriaco, mirò al completamento del disegno risorgimentale di unificazione entro i confini dello Stato italiano dei territori ancora soggetti al dominio dell’Impero d’Austria-Ungheria e considerati italiani. Oggetto della rivendicazione irredentista furono pertanto essenzialmente le regioni del Trentino e della Venezia Giulia, rimaste sotto l’amministrazione austriaca anche dopo la III guerra d’indipendenza del 1866, nonché il territorio della città di Fiume e la Dalmazia. Dopo il 1882 e fino allo scoppio della prima guerra mondiale prevalse nella politica estera italiana la tendenza a intrattenere buoni rapporti con l’impero austro-ungarico, membro della Triplice alleanza, cui il Regno d’Italia aveva aderito per uscire dall’isolamento internazionale in cui si era trovato dopo le vicende dello Schiaffo di Tunisi. La propaganda irredentista in Italia prese vigore soprattutto dopo il Congresso di Berlino del 1878, dando vita a un ampio dibattito presso settori della pubblica opinione nazionale. Sorsero gruppi come l’Associazione pro Italia irredenta, mentre in Trentino e in Venezia Giulia l’idea irredentista non poté esprimersi oltre la clandestinità (o l’esilio) a causa del controllo poliziesco. Tuttavia, sia entro i confini del Regno sia al di fuori di esso il movimento coinvolse una minoranza di attivisti. L’irredentismo si impose decisamente nell’immediatezza della prima guerra mondiale, e rimase una forma di propaganda costante per tutta la durata della guerra e anche oltre, quando nacque il mito della cosiddetta vittoria mutilata. All’irredentismo risorgimentale fece poi seguito una forma di irredentismo molto aggressivo, fatto proprio dal fascismo. Esso rivolse le proprie mire al Mediterraneo (Corsica, Nizza, Malta, Corfù) e ai Balcani (Dalmazia), in un quadro di espansione imperialista che vide l’Italia proporsi come potenza mondiale emergente, con interessi sia in Africa sia nei Balcani sia nel Medio Oriente.
Principali esponenti dell’irredentismo
Gli irredentisti italiani si ispirarono largamente agli ideali risorgimentali, traendo forza soprattutto da una parte del pensiero di Giuseppe Mazzini e raccogliendo adesioni soprattutto nell’ambito dei nascenti movimenti anti-imperialisti socialisti, dai quali vennero alcuni dei più illustri esponenti dell’irredentismo, come il triestino Guglielmo Oberdan e i cosiddetti “Martiri trentini”: il socialista Cesare Battisti, il suo allievo Fabio Filzi (istriano di Pisino), e il giovane roveretano Damiano Chiesa. Tutti vennero giustiziati dagli austriaci. Nell’ambito dell’irredentismo si sviluppò nel tempo, accanto all’originaria corrente anti-austriaca, anche una contrapposizione con le popolazioni slovene e croate per il predominio territoriale su quella che venne battezzata dal linguista goriziano Graziadio Isaia Ascoli Venezia Giulia (sebbene almeno inizialmente si tendesse invece a solidarizzare con quanti di loro si contrapponevano all’Impero). Una corrente che avrebbe trovato ampio credito e adesioni in epoca fascista assumendo un tratto anche fortemente discriminatorio e razzista, che ebbe il suo massimo rappresentante in Ruggero Timeus.
L’irredentismo italiano nella prima guerra mondiale
I governi del Regno d’Italia, legati politicamente dalla Triplice alleanza, non appoggiarono la causa degli irredentisti sino ad almeno il primo decennio del XX secolo quando, nel quadro dei sempre più logorati rapporti italo-austriaci, riprese vigore la propaganda del movimento. Questo iniziò a subire una crescente influenza da parte della destra nazionalista che finì per divenirne la corrente prevalente.
Gli irredentisti furono quindi alla testa della campagna interventista a favore dell’entrata dell’Italia nella prima guerra mondiale, mirante al conseguimento dei cosiddetti “confini naturali” della nazione, che comprendevano anche diverse centinaia di migliaia di alloglotti, maggioritari sia nel Tirolo a sud dello spartiacque alpino sia in diverse zone della Venezia Giulia. L’ideale irredentista motivò l’arruolamento dei volontari provenienti dalla “terre irredente” nell’esercito italiano. I volontari giuliani e dalmati furono 2 107, di cui 332 furono feriti e 302 caddero in combattimento o subirono la pena capitale inflitta dai tribunali militari austriaci. I reparti asburgici costituiti da giuliani e dalmati furono generalmente inviati sul fronte orientale, anche perché veniva paventata la loro possibile simpatia verso il nemico italiano. Parimenti i sudditi dell’Impero disertori arruolatisi nelle file del Regio esercito vennero alle volte guardati con sospetto, in quanto possibili spie infiltrate. Per quanto riguarda i trentini, sono stati individuati 902 nomi di soldati provenienti da quella regione e arruolati come volontari nella Legione Trentina del Regio Esercito: 710 cittadini austriaci e 43 soggetti a obbligo di leva nel Regno d’Italia, mentre per 149 di essi non è stato possibile determinare con certezza la nazionalità. Grazie alla collaborazione fra Impero russo e Regno d’Italia, 4 000 prigionieri trentini e delle province adriatiche vennero trasferiti in Italia. L’opinione prevalente in Austria all’epoca asseriva che fossero tutti traditori e di sinceri sentimenti italiani, mentre successivi studi dimostrarono che non fu così. Molti di loro, pur di scampare alle terribili condizioni di prigionia, scelsero di definirsi italiani a prescindere dal loro vero sentimento personale di appartenenza nazionale: perfino dei convinti sostenitori dell’Austria si diedero per italiani, nonostante le autorità austriache reagissero con severe misure di polizia contro le famiglie dei sospetti di irredentismo o dei prigionieri degli alleati che si presumeva avessero disertato. Quanto ai civili, le forze austro-ungariche provvidero alla deportazione – prevalentemente verso l’Austria e l’Ungheria – di tutti gli Italiani considerati pericolosi dalle autorità imperiali, nonché all’internamento per motivi di guerra di parte delle popolazioni delle retrovie del fronte.
Le aspirazioni politiche degli irredentisti italiani
Alla fine del conflitto molti irredentisti vicini ai nazionalisti di Enrico Corradini, Luigi Federzoni e Alfredo Rocco abbandonarono il principio dell’autodeterminazione e condivisero la richiesta di una definizione dei nuovi confini in base a considerazioni di carattere storico, economico o militare, contraddicendo quindi i principi originari dell’irredentismo stesso. Ciò avvenne anche per reazione a un presunto “voltafaccia” degli alleati (tra cui, in particolare, il presidente USA Thomas Woodrow Wilson e il francese Georges Clemenceau) nel corso delle trattative di Parigi che avrebbero condotto alla ridefinizione dei confini europei nel dopoguerra. In particolare, questo diverso approccio venne utilizzato dalla delegazione italiana per le discussioni sulla Dalmazia, in grande maggioranza slava (croata, serba e montenegrina) con limitate comunità italofone nelle principali città costiere e nelle isole antistanti. La regione era stata promessa all’Italia dal Patto di Londra (peraltro non sottoscritto dagli Stati Uniti e disconosciuto da Wilson), ma fin da subito apparve chiaro che gli alleati fossero molto riluttanti a confermarne la sorte. Trasfigurato dall’amarezza per la cosiddetta “Vittoria mutilata” e da un senso di delusione e di ostilità verso gli ex alleati colpevoli del “tradimento” degli impegni, nonché di disprezzo verso i governanti italiani incapaci di ottenere il rispetto dei patti, il movimento irredentista appoggiò fortemente l’occupazione di Fiume da parte di Gabriele D’Annunzio, alla testa di un gruppo di militari ammutinatisi ai loro comandi. La città era maggioranza italiana, ma nel Patto di Londra era prevista la sua attribuzione alla Croazia. Dopo l’iniziale occupazione da parte di reparti serbi e l’arrivo di alcune navi da guerra italiane (3 novembre), a Fiume arrivò in successione un contingente di 13 000 uomini del Regio Esercito (17 novembre), immediatamente seguito dall’invio di truppe francesi (28 novembre) e dalla proclamazione dell’inclusione di Fiume nella sfera d’occupazione dell’Armée d’Orient (10 dicembre), nonché di un battaglione di fanteria U.S.A. Il 6 luglio 1919 scoppiarono degli scontri noti come “Vespri Fiumani“: secondo le confuse e contraddittorie ricostruzioni dell’epoca, pare che alcuni militari francesi avessero strappato le coccarde tricolori appuntate sulle vesti delle donne fiumane, provocando la reazione degli uomini e poi, a fronte della minaccia di intervento armato da parte francese, ci sarebbe stato un massiccio intervento successivo di alcuni reparti militari italiani. Il bilancio finale fu molto pesante: nove morti e undici feriti da parte francese e tre feriti fra gli italiani. Poco più di due mesi dopo, ebbe inizio l’occupazione militare di Fiume da parte di D’Annunzio.
Il ruolo di Gabriele D’Annunzio
Il “poeta soldato” Gabriele D’Annunzio giocò un ruolo fondamentale nella guida degli irredentisti italiani, sia durante gli anni di guerra sia successivamente. Ai primi di settembre 1919 radunò a Ronchi di Monfalcone (in seguito ribattezzata Ronchi dei Legionari) diversi volontari provenienti soprattutto dal Corpo degli Arditi e dalla III Armata, dimessi dal Governo per lo spiccato spirito irredentista che dimostrarono. Assieme a Riccardo Gigante e Giovanni Giuriati, D’Annunzio fu raggiunto dai Granatieri provenienti da Fiume, che si unirono ai Legionari e prepararono il ritorno in città.
L’ingresso dei dannunziani a Fiume avvenne il 12 settembre 1919: il giorno venne battezzato da D’Annunzio “Santa Entrata”, per richiamare la Santa Intrada dei veneziani a Zara quando presero possesso della Dalmazia nel 1409. Lo stesso giorno fu dichiarata l’annessione di Fiume all’Italia. A fronte della reticenza di Roma, l’8 settembre 1920 D’Annunzio proclamò la costituzione della Reggenza italiana del Carnaro.
Il 12 novembre 1920 fu sottoscritto il trattato di Rapallo tra Regno d’Italia e Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Prevedendo il trattato la costituzione di Fiume in Stato Libero, D’Annunzio si oppose fino a giungere a proclamare lo stato di guerra contro l’Italia. Il nuovo capo del Governo italiano Giovanni Giolitti ordinò allora al generale Enrico Caviglia di farla finita con la Reggenza del Carnaro, sgombrando la città dai legionari. Il 24 dicembre il Regio Esercito avanzò contro le difese di Fiume e la corazzata “Andrea Doria” aprì il fuoco contro il Palazzo del Governo, sede del comando di D’Annunzio. I combattimenti proseguirono fino al 29 dicembre, costando la vita a ventidue legionari, diciassette soldati italiani e cinque civili. D’Annunzio – che aveva una spiccatissima propensione alla drammatizzazione dei fatti e alla creazione di slogan efficaci – chiamò questi combattimenti Natale di sangue. L’abbandono della città da parte di D’Annunzio (2 febbraio 1921) rese possibile la creazione dello Stato libero di Fiume, sotto il governo di Riccardo Zanella. Questi era a capo del Partito Autonomista fiumano, che nonostante il tentativo di distruzione delle schede elettorali da parte dei nazionalisti e dei fascisti aveva vinto le elezioni parlamentari del 24 aprile 1921. Il 3 marzo 1922 Zanella venne deposto, a seguito di un’insurrezione nazionalista guidata dai dannunziani e fascisti Francesco Giunta e Nino Host Venturi. Dopo un periodo di forti tensioni, Mussolini inviò a Fiume l’esercito e nominò il generale Gaetano Giardino governatore della città (16 settembre 1923). Fiume venne infine annessa al Regno d’Italia a seguito del Trattato di Roma, sottoscritto il 27 gennaio 1924 dal governo italiano e quello del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Per qualche anno il movimento irredentista venne frenato dal regime fascista, pronto però a rinfocolarlo in occasione delle crisi diplomatiche colla vicina Jugoslavia. Nel 1938, a seguito dell’allontanamento dell’Italia dalla Francia dovuto alla guerra d’Etiopia, il governo di Benito Mussolini riprese a rivendicare il Nizzardo, la Corsica e la Savoia quali terre irredente. Il fascismo sostenne anche lo sparuto movimento irredentista maltese, cercando altresì di promuoverlo nella Svizzera italiana e nelle Isole Ionie.
Fonti wikipedia